È stata definita “brutta”, “inadatta al mondo della moda”, oggetto di insulti pesanti sui social, body shaming e mano pesante, c’è chi ha perfino manipolato alcune sue foto per creare un meme e scrivere sopra “voi ci uscireste a cena?”. È la madre di tutte le polemiche di fine estate, l’estate più faticosa di sempre questa del 2020; non manca neanche un noto quotidiano nazionale che si “picca” perché “la libertà di espressione” debba per forza assumere il tono “razzista e fare body shaming”; non si può dire forse – secondo il noto quotidiano – che Armine sia “una racchia finita inspiegabilmente nel regno della bellezza”? La vicenda è mediatica, ha fatto il giro del mondo e del web: stiamo parlando di Armine Harutyunyan, la modella che la Maison Gucci ha scelto da tempo per le sfilate.
I canoni estetici sono mutevoli e poliedrici
Polemiche surreali, a tratti “deliranti” e fake contro la modella armena. È circolata sui social una sua foto originale sotto l’Altare della Patria con il “saluto romano” dedicato a Giulio Cesare, come peraltro scritto sul suo profilo Instagram, relativo a un recente soggiorno romano e visita nella Capitale in giugno scorso. Nessun richiamo al fascismo, dunque, da parte di Armine, sulla foto “incriminata”. Inoltre, per fugare ogni dubbio, la foto si compone di due immagini che mostrano un’altra angolazione e un diverso significato. Armare un caos solo per sostenere che sia brutta e fascista, per insultarla, demonizzarla, colpirla sui tratti tipicamente arabi, originali e non convenzionali. Ci vogliono forse tutte bionde con occhi azzurri, magari con lavastoviglie e cucina nuove di zecca come negli anni ’50, intente a sfornare torte e crostate?
Insulti, razzismo, body shaming, stereotipi e pregiudizi
Alessandro Michele, direttore creativo di Gucci, professionista originale e acuto osservatore, nasce come scenografo dopo studi artistici; dal 2015 ha totalmente cambiato l’immagine della Maison che oggi fattura milioni ed è in attivo. Dalle sfilate Gucci è emerso lo stile unisex, androgino, metrosexual, transgender. Per qualcuno la casa di moda lancia messaggi, per altri sono “provocazioni”. Da sempre Alessandro Michele punta sulla comunicazione e non è nuovo nel superare pregiudizi, anche sulla disabilità. “La disabilità non è un limite”, campagna 2019: il tema della diversità è molto a cuore alla Maison, basti pensare che il brand scelse proprio una ragazza con la sindrome di down come volto/immagine per l’ultima campagna beauty relativa al lancio di un mascara. La disabilità è soltanto negli occhi di chi guarda, nel muro che mettiamo davanti alle persone, un “maledetto” muro che è solo nella nostra testa (scomodando un testo di Ivano Fossati, Ndr); il concetto di bellezza – secondo il direttore artistico – “deve superare i canoni classici precostituiti/preconfezionati” a cui siamo abituati da decenni e “deve andare al di là di quel modello fisso e stabilito” (non si sa da cosa, da chi) che ci eravamo imposti, costituiti. La bellezza è soggettiva, soltanto la bravura è oggettiva. Ed è proprio per far sfilare la poliedricità della bellezza e dei canoni estetici che Alessandro Michele ha scelto di puntare per Gucci anche su Armine Harutyunyan.
L’ideale di bellezza ai tempi di Facebook e Instagram
Insulti, dicevamo, rabbia, aggressività verbale, prese in giro, battute, non una normale discussione social. La modella armena ha 23 anni, è stata scelta dal direttore artistico di Gucci e la sua originale bellezza e particolarità sono il motivo di questa volontà. Piaccia o meno. Capelli mori, occhi scuri e profondi, sopracciglia molto evidenti, tratti del viso molto particolari, un naso importante (la grande Barbra Streisand ha fatto del suo naso un punto di forza, non lo ha mai voluto ritoccare). Non corrisponde per nulla ai canoni odierni: viso etereo e angelicato, corpo e viso “perfetti”, naso piccolo, sedere sodo e soprattutto non è bionda e non ha occhi verdi, azzurri.
L’ideale della bellezza nell’antica Grecia
Armine non corrisponde ai canoni estetici odierni e non corrisponde nemmeno all’ideale della bellezza nell’antica Grecia, e qui rispolveriamo gli studi classici, in cui dal V secolo a.C. si affermano i veri canoni estetici della bellezza, rappresentata nelle statue. L’ideale di bellezza per gli antichi greci doveva rappresentare grazia, proporzioni perfette. Un corpo bello era dato dall’equilibrio, dalle giuste proporzioni, simmetria e armonia tra tutte le sue parti e tra ciascuna di esse. La figura intera doveva rappresentare perfezione, eleganza, simmetria. Sarà un concetto che ritroveremo nelle statue del Canova (siamo tra la fine del ‘700 e gli inizi del 1800) e nel bello rappresentato dalle Madonne di Raffaello (tra i più celebri esponenti del Rinascimento).
Naturalmente, per la Maison Gucci, fare questa scelta non “convenzionale” genera così come ha generato, rabbia espressa attraverso i social, sbigottimento, incredulità, indignazione, derisione, cattiveria gratuita. Non scomoderemo Freud o Jung per ragionare su questo tema e pensare, semplicemente, che sia frutto di frustrazione e superficiale crudeltà. Però possiamo dire “da che pulpito”: non ci sembra che l’adorabile massa di persone brillino tutte per educazione, eleganza, educazione civica e istruzione, al contrario volgarità e maleducazione abbondano spesso e nessuno sembra uscito dall’Accademia della Crusca. Ma nemmeno chi vi scrive, del resto. Troviamo spesso madri e padri rissosi sui campi di calcio in cui i figli “tentano” di apprendere la disciplina sportiva e il rispetto dell’avversario, rissose/i davanti ai cancelli scolastici, difronte agli insegnanti, in famiglia, in fila alla posta, al cinema, in spiaggia, aggressivi in strada, in auto, sul bus, aggressivi che occupano posti dedicati alle persone con disabilità. E spesso, non si apre un libro né un giornale neanche a morire. Troppo spesso gli insulti peggiori arrivano da chi non brilla per gentilezza e rispetto, nel quotidiano. Noi tutti non siamo un bell’esempio.
Dacci oggi la nostra frustrazione quotidiana
Tra i tanti commenti letti: “State rivestendo di politically correct un’operazione di marketing. È una modella, dovremmo parlare forse delle belle poesie che scrive? Se ve la ritrovaste davanti in metropolitana, pensereste che sia brutta e questa è anche la sua fortuna”. Non vogliamo parlare della sua bellezza interiore o se scriva poesie ma davvero se la incontrassimo in metro o sul bus, penseremmo che sia una ragazza brutta? È davvero così? Chi decide cosa sia bello e cosa sia brutto? Si può anche affermare, con i dovuti modi, che la modella non piaccia e non è vietato dire che sia brutta, per carità. Non possiamo piacere a tutti. Ma chi lo decide? Chi decide cosa sia bello o meno? E perché urlarlo ovunque? E se per molti una persona è “brutta”, dato che la bellezza è soggettiva, non si può fare la modella per Gucci? Una “brutta” non può lavorare per la Maison o nella moda in generale? E chi lo ha deciso, il tizio che urla sui social, la tizia rissosa e pettegola o il tizio che grida in fila alla posta? Una cosa brutta c’è: l’odiatore seriale da social, organizzato con le sue brigate da divano, in giacca e cravatta oppure in infradito e canotta.
“Ma è una donna questa?”, “Questa modella armena è brutta, una cessa”. E ancora – “Non ci andrei nemmeno morto”, “Ma come si può avere una relazione con questa qui?”, “Che orrore, mi fa schifo” “Le metti un cuscino in faccia!” “Ma con tutte le belle ragazze al mondo, proprio lei?” e altri insulti sessisti e volgari, irripetibili. Una valanga di risate, parole orribili, emoticon offensive/faccine, il peggio del peggio di ciò che un essere umano possa mostrare. Insomma, la Maison Gucci con il suo direttore creativo – scelta coraggiosa per alcuni, operazione di marketing per altri – ha da tempo formato delle basi su cui ripartire: il sostenere l’inclusività, la trasversalità, la diversità e l’uguaglianza, la molteplicità dei canoni estetici, dell’essere “diversi” (diverso da chi?) in modo che tutti possano esprimere la loro unicità e autenticità, promuovere una cultura di equità e rispetto. Lo scrittore e giornalista Tiziano Terzani, scomparso nel 2004, scriveva “Solo se riusciremo a vedere l’universo come tutt’uno in cui ogni parte riflette la totalità e in cui la grande bellezza sta nella diversità, cominceremo a capire chi siamo e dove stiamo”. Magari, proviamo a metterlo in pratica.
Bellissimo articolo, concordo in toto, ma sul tuo stile e la tua obiettività non avevo dubbi, bravissima Ale