Non pretendiamo di tornare al programma Rai “Non è mai troppo tardi”, condotto dal maestro e pedagogo Manzi, che aveva lo scopo di insegnare a leggere e a scrivere agli italiani tra il 1960 e il 1968 (qualcosa ci dice che ne avremmo tutti bisogno) e non pretendiamo che i reality educhino ancora oggi adulti analfabeti ma certamente la televisione dovrebbe avere ancora uno scopo educativo e formativo. E sotto le telecamere bisognerebbe avere buon senso e tenere un comportamento responsabile perché, come diceva Nanni Moretti in un celebre film “le parole sono importanti”. E di parole, nel Grande Fratello Vip, su Canale 5, ne sono state dette molte. In una sola settimana è scoppiato il putiferio e il protagonista, in negativo, è stato Fausto Leali.
Il cantante di brani indimenticati e di successo come A chi, Deborah, Io camminerò, Mi Manchi, Ti lascerò e, sì certo, anche di Angeli negri, è stato eliminato nel corso della diretta di lunedì sera dalla casa più spiata d’Italia. Unico epilogo possibile dopo una disastrosa settimana: un’unica settimana in cui il cantante – con lo stesso candore di Candy Candy nella Casa di Pony e di chi proprio non comprende la gravità di quello che afferma – “ci si dimentica delle telecamere”, si è prima arrampicato sugli specchi in una rocambolesca rivalutazione dell’operato del Duce (“ha fatto anche cose buone per l’umanità, per esempio le pensioni”. Mancavano soltanto i treni in orario e le colonie estive, Ndr) poi, a distanza di qualche ora, ha tentato di spiegare in diretta tv, davanti a volti attoniti e raggelati dei colleghi concorrenti, il perché avesse dato del “negro” a Enock Barwuarh, fratello di Mario Balotelli. La toppa è stata peggiore del buco “Non è un’offesa. Nero è un colore, negro una razza” e ancora “Non applaudiamo Enock che ha lavato i panni? Perché è negro non lo applaudiamo?” E giù a ridere. E ancora “Gli uomini di colore siamo noi bianchi perché cambiamo di colore continuamente” e infine “al battesimo di mia figlia, il padrino era Wilson Pickett mio grande amico, nonché padrino della mia prima figlia Deborah”. Come a dire, anche io ho amici neri. Strano che non abbia tirato in mezzo anche Calimero il pulcino nero.
Un Fausto Leali ammutolito, con lo sguardo tra lo stupito e l’incredulo, tra un “certo, certo, già, già” non ha saputo motivare neanche alla più esplicita replica e obiezione del calciatore, 27 anni, che gli ha ricordato di non “usare più quella parola”. “Non devi dirla” – gli ha replicato Enock in diretta – “Se dici una cosa del genere vuol dire che sei abituato a dirlo: noi ci battiamo per i diritti e questo non lo tollero. Siamo in tv, ci guardano, certi messaggi non possono passare perché nessuno da casa deve sentirsi giustificato a utilizzare certi termini”. Imperdibile la timida controreplica da parte del cantante “E allora cosa devo fare con la mia canzone Angeli negri? La cancello? Che colpa ne ho?”.
“Pittore, ti voglio parlare, mentre dipingi un altare. Io sono un povero negro e di una cosa ti prego. Pur se la Vergine è bianca, fammi un angelo negro. Tutti i bimbi vanno in cielo, anche se son solo negri”
Fausto Leali ha pensato davvero di non aver fatto “nulla di male”, di aver fatto qualche battuta goliardica, di essere stato perfino spiritoso e bonario. Ha pensato di non aver detto nulla di offensivo, come lo pensano ancora in tanti, troppi, tra battutine e risate, figli di epoche in cui cantare di “un povero negro” che prega la Vergine Maria per avere un angelo del suo colore era cosa “normale”. Angeli Negri era un brano del 1968 e molto da allora è cambiato: sono gli anni in cui ci si batte e si lotta per i diritti civili, si chiedono leggi, viene proibita la discriminazione razziale. Il cammino di quegli anni, da metà anni ’60 in poi, è arduo e lungo. Sono anni importanti e difficili per chiedere quei cambiamenti che ci hanno portato fino ad oggi, nel 2021: inaccettabile dover ancora ascoltare tutto questo, spiegare, nuovamente il perché alcuni termini non siano più in uso nell’accezione comune e certi messaggi non possano più passare. Soprattutto in un reality tv, in un gioco, davanti alle telecamere, dove più generazioni guardano. Il tentativo del brano del ’68 era quello di abbattere ogni tipo di discriminazione tra gli uomini di culture diverse, perché – ricordiamolo ancora – non esistono “razze” ma soltanto una, quella umana.
Una domanda, un dubbio che ci accora, ce lo conceda: ma cosa è andato a fare lì?