a cura di Alberto Cuccuru
La memoria è storia, ciò che siamo noi, ora.
“Voi dichiarate ogni giorno di volere ristabilire l’autorità dello Stato e della legge. Fatelo, se siete ancora in tempo; altrimenti voi sì, veramente, rovinate quella che è l’intima essenza, la ragione morale della Nazione. Non continuate più oltre a tenere la Nazione divisa in padroni e sudditi, poiché questo sistema certamente provoca la licenza e la rivolta. Se invece la libertà è data, ci possono essere errori, eccessi momentanei, ma il popolo italiano, come ogni altro, ha dimostrato di saperseli correggere da sé medesimo. (…) Noi difendiamo la libera sovranità del popolo italiano al quale mandiamo il più alto saluto e crediamo di rivendicarne la dignità, domandando il rinvio delle elezioni inficiate dalla violenza alla Giunta delle elezioni.”
Concluso il suo discorso alla Camera il 30 maggio 1924, Giacomo Matteotti si voltò e aggiunse profeticamente ai suoi compagni di partito: “Io, il mio discorso l’ho fatto. Ora voi preparate il discorso funebre per me.”
Matteotti prese la parola alla Camera per chiedere che non fosse convalidata l’elezione di quei deputati che erano entrati in Parlamento grazie al premio di maggioranza assegnato dalla Legge Acerbo, legge fortemente antidemocratica che, assegnando i 2/3 dei seggi al partito che avesse raccolto almeno il 25% dei voti, di fatto attribuiva valore doppio ai voti per quel partito – il Partito Nazionale Fascista.
Non sperava davvero, con il suo discorso, di ottenere l’annullamento di quelle nomine, quanto di fomentare l’opposizione, incoraggiandola a opporsi all’intolleranza, supportata dalla violenza, a cui i fascisti si dimostravano sempre più avvezzi, e a cui gli Italiani si stavano pericolosamente assuefacendo. Nel suo discorso denunciò i brogli e i soprusi messi in atto nella votazione per assicurare la maggioranza al PNF, negando la libertà del voto persino nel suo significato più banale, quale libertà da costrizioni fisiche.
Concluse con fatica il suo discorso, dovendo scavalcare le urla di dissenso e le numerose interruzioni che provenivano dalla destra della Camera. Giorgio Amendola, allora solo 17enne, che in quel giorno si trovava per caso ad assistere alla scena dalla tribuna per le famiglie, ha raccontato la “ostilità e le forme di insofferenza volgare” con cui le destre accompagnarono il discorso di Matteotti.
Mussolini, a un certo punto del discorso, ebbe uno scatto di insofferenza, si rivolse a un suo vicino “con un gesto volgare, plateale, come se Matteotti avesse superato chissà quale limite, sembrava dire ‘ma cosa aspettate? Dategli una lezione’”. Sarebbe poi uscito dalla Camera furioso, chiedendosi perché quell’uomo circolasse ancora. Questi non era nuovo a commenti simili nei confronti dei membri dell’opposizione, ma questa volta il suo astio ebbe un peso diverso, portando com’è noto al sequestro e successivo assassinio di uno degli ultimi che ebbero il coraggio di denunciare apertamente e lucidamente la prepotenza fascista.
Sono note le vicende giudiziarie successive che val la pena accennare.
Dopo il rinvio a giudizio dinanzi alla Corte d’assise di Roma (Sez. Istr. App., sent. 1/12/1925) di Dumini e altri con l’accusa di omicidio aggravato, esclusa la premeditazione, venne disposta la rimessione del giudizio alla Corte d’assise di Chieti da parte della Corte di Cassazione, su istanza del P.G. presso la Corte d’appello di Roma, per gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica (Cass., sez. I, 21/12/1925).
Il giudizio di merito in primo grado venne celebrato a Chieti, in assenza della parte civile essendosi i familiari di Matteotti ritirati dal processo. Gli imputati Dumini, Volpi e Poveromo, difesi dall’Avv. Roberto Farinacci, segretario nazionale del Partito nazionale fascista, vennero dichiarati colpevoli del delitto di omicidio preterintenzionale e condannati, con le attenuanti generiche, alla pena di anni 5 mesi 11 e giorni 20 di reclusione, di cui condonati 4 anni ex r.d. n. 1276/1925, mentre i coimputati Viola e Malacria vennero assolti (Ass. Chieti, sent. 24/3/1926, non impugnata e irrevocabile). Nello stesso tempo la Commissione permanente istruttoria dell’Alta Corte di Giustizia presso il Senato, con sentenza del 12 giugno 1925, dichiarava non doversi procedere nei confronti del Sen. Emilio De Bono, già capo della polizia, in ordine alle accuse di complicità o favoreggiamento mosse nei suoi confronti per il rapimento e l’uccisione di Matteotti.
Dopo la caduta del fascismo, il processo Matteotti viene riaperto alla luce dell’art. 6, comma 4, del d.lgs. 27 luglio 1944, n. 159, che consentiva all’Alto Commissario per le sanzioni contro il fascismo di chiedere alla Corte di cassazione, sezione speciale, la dichiarazione di inesistenza giuridica delle sentenze penali irrevocabili, istruttorie o pronunciate nel giudizio, e la riapertura dell’istruttoria e del giudizio, sulla base di due presupposti: l’indole del delitto, commesso per motivi fascisti, e la influenza esercitata sulla decisione da uno stato di morale coercizione determinato dal fascismo.
Espletate le indagini preliminari in merito alla verosimile sussistenza dei due presupposti e quindi alla verifica positiva circa l’ammissibilità della procedura – assimilabile per analogia alla revisione -, la Corte di cassazione penale, sezione Seconda speciale, riconosceva la consistenza e la rilevanza delle prove a sostegno non solo dell’indole del delitto Matteotti commesso per motivi fascisti, ma anche della effettiva influenza esercitata sulla decisione da uno stato di morale coercizione esercitata dal fascismo.
La Corte, con sentenza del 6 novembre 1944 (Pres. rel. De Ficchy), fatte proprie tutte le argomentazioni della requisitoria scritta del P.G. Battaglini, dichiarava “giuridicamente inesistenti” le sentenze, sia quella istruttoria della Sezione d’accusa App. Roma dell’ 1 dicembre 1925 che quella di merito della Corte di assise di Chieti del 24 marzo 1926, disponendo la rimessione degli atti al P.G. della Corte di appello di Roma per la riapertura dell’istruttoria e per il rinnovato giudizio a carico di Dumini e altri.
All’esito della nuova istruttoria e del nuovo processo gli imputati sopravvissuti – Dumini, Viola e Poveromo – vennero condannati dalla Corte di assise di Roma, con sentenza del 4 aprile 1947, all’ergastolo, commutato in trenta anni di reclusione. Poveromo morì in carcere a Parma nel 1952; Dumini ottenne la grazia e venne definitivamente liberato il 23 marzo 1956 per poi morire a Roma il giorno di Natale del 1967.
A Mussolini, il quale aveva implicitamente rivendicato l’uccisione di Matteotti nel noto e arrogante discorso tenuto alla Camera il 3 gennaio 1925, viene imputata la correità nel sequestro e nell’omicidio, cui si aggiungono la costituzione della Ceka e le numerose spedizioni punitive compiute dal gruppo omicida, di cui viene riconosciuto come mandante.
E’ passato un secolo, ma l’omicidio del segretario del Partito socialista unitario, Giacomo Matteotti, resta ancora il delitto più discusso e importante del ‘900 italiano. Matteotti fu ucciso da una banda di sicari fascisti, che avevano rapporti diretti con uomini molto vicini a Mussolini, il 10 giugno 1924. Sul movente di quel delitto sono stati scritti decine di libri e centinaia di articoli.
Perché ricordiamo, oggi, Giacomo Matteotti.
Perché è un martire laico della democrazia, un eroe solitario precursore della democrazia parlamentare.
Ma facciamo, ancora, qualche passo indietro.
Dopo la marcia su Roma arriva la legge elettorale Acerbo a spianare la strada al fascismo, poi l’incarico a Mussolini, fino al celebre discorso del 30 maggio 1924, in cui Matteotti denuncia le violenze e i brogli elettorali.
Agghiacciante il resoconto della seduta, i tumulti in un’aula in cui le milizie del fascio avevano già esautorato i commessi: l’arringa del deputato socialista viene sopraffatta più volte da grida, minacce e risse, fino a che il presidente, il giurista Alfredo Rocco, lo invita alla “prudenza”, suscitando l’indignazione di Matteotti che, ormai, in cuor suo, probabilmente aveva la percezione della violenza che stava per scatenarsi.
L’11 giugno si preannunciava un discorso ancor più duro in cui Matteotti, che si era recato più volte all’estero ad approfondire alcuni dossier scottanti, avrebbe portato alla luce tanti buchi neri imbarazzanti del regime in ascesa: dal falso pareggio di bilancio allo scandalo delle tangenti petrolifere della Sinclair Oil, al caso delle bische clandestine.
Ma il giorno prima, il 10 giugno, viene rapito sul lungotevere Arnaldo da Brescia ed “eliminato”.
”E ora preparatevi a recitare il mio elogio funebre”.
Mussolini in persona lo vuole fuori gioco e, insieme ad altri compagni, come si legge esplicitamente sui giornali di regime “in condizioni di non nuocere”. E sa che per metterlo a tacere useranno le maniere forti.
Detto e fatto, il 10 giugno Matteotti è aggredito, rapito e ucciso.
Per l’Italia è l’inizio istituzionale del regime fascista, di una dittatura devastante durata vent’anni.
Matteotti era stato la voce del partito socialista fino al 28 ottobre 1922, quando, in seguito alla marcia su Roma, Mussolini era stato chiamato dal re a costituire il governo. Da quel momento in poi era diventato la voce dell’opposizione e si era dedicato, da solo, esclusivamente alla lotta contro il fascismo, sfidando il duce a viso aperto e denunciando senza paura lo stato di prostrazione cui aveva ridotto il paese.
Nato il 22 maggio 1885 a Fratta Polesine, in provincia di Rovigo, Giacomo Matteotti si era iscritto giovanissimo al partito socialista e dopo la laurea in giurisprudenza aveva fatto una rapida carriera nel partito a livello locale.
Al congresso provinciale socialista di Rovigo del 1914 aveva incontrato per la prima volta Benito Mussolini, che rappresentava una mozione contrapposta alla sua ed era all’epoca direttore dell’Avanti!. Di lì a poco lo scontro si sarebbe spostato nelle aule parlamentari durante gli anni dell’ascesa al potere del fascismo. Matteotti comprese fin da subito che il nascente movimento fascista rappresentava un pericolo per le organizzazioni operaie ed era la risposta violenta della borghesia agraria ai propri interessi lesi dai nuovi patti agrari. Le sue coraggiose denunce delle violenze squadristiche lo resero un dirigente politico assai popolare, consegnandolo però anche all’odio del radicalismo fascista.
Matteotti, soprannominato “tempesta” dai compagni di partito per il suo carattere battagliero e intransigente, trascorreva ore nella biblioteca della Camera dei Deputati a sfogliare libri, relazioni e statistiche dalle quali attingeva dati e informazioni per le sue circostanziate denunce, tanto che era già stato vittima di una feroce aggressione nel marzo 1921 eppure proseguì nella sua azione di opposizione al regime.
Dell’eliminazione di Matteotti, Mussolini si assunse piena “responsabilità morale e politica” con un discorso pronunciato alla Camera dei deputati il 3 gennaio 1925. È questa, infatti, la data d’inizio del regime dittatoriale in Italia: in quest’occasione il leader fascista ribadì davanti a tutti di essere pronto a scatenare la violenza per eliminare ogni opposizione.
E da questo momento in poi, opporsi al duce, al suo governo e al suo partito significò essere fuorilegge.
In seguito Mussolini, per vigilare su qualsiasi iniziativa antifascista creò l’Ovra e da qui le cose interessarono anche movimenti come lo scautismo.
Il regime totalitario di Mussolini, infatti, considerò l’educazione dei giovani uno dei suoi pilastri.
Per un regime come quello fascista che voleva creare un uomo nuovo, un uomo fascista, i giovani furono un interlocutore obbligato per raggiungere gli obiettivi del partito. Il fascismo aveva il suo movimento giovanile, le “avanguardie”, prima “studentesche” (dall’aprile del 1919), poi “giovanili” (dalla fine del 1921), che riunivano giovani dai 15 ai 18 anni. Per i ragazzi più giovani esistevano, fin dal 1922, i “gruppi balilla”.
Quasi d’improvviso, il 1° gennaio 1926, il governo approvò un disegno di legge per l’istituzione di un “Opera Nazionale Balilla per l’assistenza e l’educazione fisica e morale della gioventù” (dal nome del ragazzo genovese che nel 1746 fece iniziare la rivolta contro gli Austriaci: Giambattista Perasso, detto Balilla).
La relazione illustrativa, curata personalmente da Mussolini, affermava che:
“Come supremo regolatore della vita nazionale, lo Stato non può rimanere inerte, lasciando totalmente all’iniziativa individuale tale campo d’azione, ma deve provvedere, con mezzi idonei, a preservare incorrotta la gioventù e a prepararla in un’atmosfera di disciplina ai compiti che spettano a ciascun cittadino, in uno Stato organizzato per la sicura grandezza del Paese.”
L’idea del duce era accompagnare la vita di ogni italiano dalla culla al moschetto, dal primo giorno di vita fino all’età adulta, quando potrà sostenere il paese nei campi, nelle fabbriche, in battaglia. Il movente fu di diminuire l’influenza dei centri di potere, quali le organizzazioni cattoliche e sportive, che ancora si sottraevano all’accentramento fascista.
Ben presto lo slogan “Libro e moschetto fascista perfetto” entrò in tutte le scuole.
Nel 1928, inoltre, venne introdotto nelle scuole di grado inferiore il testo unico di Stato, dove ogni occasione era sfruttata per esaltare le virtù del duce, le sue opere e la grandezza del regime fascista. Sui libri di grammatica, per spiegare il predicato nominale, si trovavano come esempi:
“Il Duce è laboriosissimo”, “Il Duce è un vincitore”, il Duce è un grande condottiero.”
Questi i fatti.
Affermava Emanuele Fiano – promotore nel 2017 di un disegno di legge contro l’apologia del fascismo – in occasione del 90° anniversario della morte di Tempesta:
“Ricordare qui oggi Giacomo Matteotti, dirigente e parlamentare socialista, assassinato dai sicari di Mussolini novanta anni fa, oltre che un onore è un dovere e per due ordini di motivi: il primo così ben rappresentato da una frase di Matteotti stesso: “Il fascismo non è un’opinione, è un crimine” perché per chi ama la libertà, la coesistenza pacifica, la civiltà democratica esiste un limite invalicabile a cui non si rinuncia. Chi fa della violenza, della rabbia e della sopraffazione la propria cifra, a chi dell’odio verso chi è diverso da sé dà il senso del proprio agire, a chi sfrutta la regola della democrazia allo scopo dichiarato di negarla e di ucciderla non si cede mai anche a costo della propria stessa vita. Quella di Matteotti non è una tragedia relegata nei libri di storia, ma è una testimonianza più che mai attuale. Tutta la nostra vita repubblicana è segnata dalla lotta tra chi stava e sta dalla parte di Matteotti e le forze contrarie alla libertà e alla democrazia, dai tentativi golpisti e dalla strategia della tensione al terrorismo assassino degli anni di piombo, alla mafia stragista. E anche oggi, di fronte alle difficoltà e alle sfide, pensare e rifarsi a Matteotti e alla sua battaglia per i diritti e per la libertà, per il lavoro, fornisce a noi gli strumenti per andare avanti. Perché la sua lezione e la sua pratica ci insegnano che tutte le libertà sono legate: da quella di parola, a quella di organizzazione, da quella economica a quella di fede, a quella dell’affermazione della propria diversità. Per questo Mussolini e i suoi sgherri assassini hanno voluto uccidere Giacomo Matteotti: avevano paura di un uomo libero che, con la sola propria presenza, riusciva ad inceppare la sua macchina criminale. Non un eroe, ma un rappresentante delle sue genti e della legalità; uno di noi e, quindi, immenso nella sua semplicità. Il secondo motivo (…) esce dalle trascrizioni del suo ultimo discorso (…) nel quale, tra interruzioni, provocazioni, sbeffeggi e insulti, denunciava con dettaglio i brogli elettorali e le violenze su cui si basava la formale vittoria elettorale di Mussolini, chiedendone la cancellazione. Sapeva di firmare la propria condanna a morte, come tragicamente fu poi, ma decise di farlo lo stesso e di farlo (…) nell’Aula del Parlamento, da socialista democratico, che al Parlamento dava il ruolo di posto della democrazia. In un famoso discorso disse: “Uccidete pure me, ma l’idea che è in me non la ucciderete mai”. Ecco, oggi, Giacomo Matteotti e le sue idee, il suo sacrificio – perché di questo si trattò -, sono qui con noi a ricordarci di non smettere mai di onorare tutti coloro che alla libertà, alla democrazia e al diritto non rinunciano né hanno rinunciato.
Giacomo Matteotti ha lasciato un’impronta straordinariamente profonda nella storia del Novecento e tuttavia la sua memoria ha stentato ad imporsi, vuoi per l’oblio al quale fu condannato dal regime fascista, vuoi perché nella seconda metà dello scorso secolo la sua figura è apparsa eccentrica rispetto alle grandi ideologie dominanti ed ai partiti di massa che ad esse si ispiravano. Nonostante ciò, sia in Italia (clandestinamente), sia in tutto il mondo, una narrazione epica celebrava in Matteotti il martire, divenuto simbolo della lotta intransigente al fascismo e, più in generale, al totalitarismo.
Già durante la seconda guerra mondiale, a mano a mano che l’Italia veniva liberata, a lui si andavano intitolando piazze e viali, un omaggio che ha contribuito ad affidare alla memoria del Paese la vittima di un brutale assassinio e il profilo dell’antifascista intransigente facendo però ombra alla complessità di uno dei politici più brillanti, preparati e lucidi dell’inizio dello scorso secolo. Perché Giacomo Matteotti è stato molte cose: brillante studioso di diritto e poi di economia, preparato e appassionato amministratore locale nel suo Polesine, esperto dei problemi della scuola e sempre impegnato sul fronte dell’istruzione, convinto internazionalista fermamente contrario alla partecipazione dell’Italia alla prima guerra mondiale, organizzatore di leghe contadine e combattivo difensore dei diritti del proletariato rurale, leader politico prima locale poi nazionale, parlamentare attivissimo ed assiduo, esperto di politica internazionale ed europeista ante litteram; oltre che segretario del Partito Socialista unitario e fiero, irriducibile avversario di Benito Mussolini e del suo regime dittatoriale che, fra i primi, aveva denunciato in tutta la sua carica eversiva e antidemocratica.
Si assiste oggi ad un ritorno di interesse per l’alta eredità ideale, civile e morale di Matteotti, oltre che politica: un lascito di valori e principi fondati sulle idee – testimoniate, prima ancora che enunciate − di giustizia e di solidarietà sociale, di rispetto delle istituzioni democratiche, di dignità dell’uomo e del lavoro. La grandezza di questo lascito merita di essere oggetto di una memoria “attiva”, non meramente retrospettiva o celebrativa.
Certo, qualcosa lascia pensare che non sarà così.
Le cronache delle ultime settimane lo dimostrano.
“Il gruppo dirigente post-fascista, vinte le elezioni nell’ottobre del 2022, aveva davanti a sé due strade: ripudiare il suo passato neo-fascista oppure cercare di riscrivere la storia. Ha indubbiamente imboccato la seconda via. Dopo aver evitato l’argomento in campagna elettorale, la Presidente del Consiglio, quando costretta ad affrontarlo dagli anniversari storici, si è pervicacemente attenuta alla linea ideologica della sua cultura neofascista di provenienza” (stralcio dal recente monologo censurato di Scurati).
Matteotti era un socialista che non si rassegnava alle fratture ideologiche aperte nel proprio campo. Il suo impegno per i diritti del lavoro e per l’emancipazione del mondo contadino lo spinse, nel Polesine sua terra natale, a una battaglia a viso aperto con il fascismo sin dalle origini. Quando venne ucciso, era pronto anche a rendere pubbliche denunce sulla corruzione di uomini molto vicini a Mussolini. Ma la spietata azione squadrista non gli diede scampo.
La Resistenza e la Liberazione, che hanno conquistato libertà e democrazia al Paese, affondano le proprie radici proprio nella testimonianza di personalità come Giacomo Matteotti.
I valori che la Costituzione è riuscita a portare nelle nostre vite erano per lui ideali ai quali dedicare ogni impegno ed energia. Questo rende Matteotti un esempio che ancora parla ai giovani, e sprona tutti i cittadini ad avere cura della nostra Repubblica.
Il Parlamento, con il voto unanime di entrambi i rami, ha approvato nel 2023, su proposta della Sen. Liliana Segre, la legge che istituisce le celebrazioni per il centenario della morte di Giacomo Matteotti (10 giugno 1924 – 10 giugno 2024), con l’importante avviso che tra le attività di ricerca su vita, pensiero e opera di Matteotti «saranno sostenute anche iniziative didattiche e formative, in sinergia con biblioteche, musei e istituzioni culturali, attraverso il coinvolgimento diretto delle istituzioni scolastiche».
E allora, ricordare un combattente intrepido, un osservatore lucido che comprese la natura del fascismo prima e meglio di tutti, l’unico che in Parlamento non smise mai di parlare e che per questo pagò un prezzo crudele, non è inutile, perché la memoria è storia, ciò che siamo noi, ora.
CHI È ALBERTO CUCCURU
Alberto Cuccuru è Avvocato penalista, Cassazionista. Già assegnista di ricerca presso la Facoltà di Giurisprudenza della LUISS. Componente della Commissione Formazione – Ordine Avvocati di Tivoli. Autore di diverse pubblicazioni in ambito giuridico. Ha ricoperto l’incarico di Assessore alle Finanze nel Comune di Guidonia Montecelio.