Intervista a Giulia Di Gregorio, in arte LOGO, bassista, cantautrice, musicista, anima punk, una voce giovane, decisa e raffinata nel panorama indipendente italiano. Un cuore in inverno, profondo e poetico.
Parliamo del tuo EP “Inverno Deep” che contiene sei brani: come nasce questa idea?
Inverno Deep non è un vero e proprio concept album (concept EP non penso esista come termine), ma ha una forte componente di storia vissuta e di emozioni contrastanti: ironia, malinconia e rabbia.
Quali sono le due anime in contrasto?
Quelle che mi caratterizzano come persona: sono socievole, molto concreta ma convivo con una parte intima che è tesa verso il sogno, il futuro, molto legata agli ideali, che spesso si scontra con una realtà bidimensionale.
Raccontaci la genesi dell’Ep, qual è il filo conduttore?
Il filo conduttore è la mancanza, l’inadeguatezza, la solitudine che diventa forza e spavalderia oppure malinconia e introspezione. Sono tutte canzoni scaturite da ricordi o persone di cui sentivo la mancanza o che non mi davano abbastanza. Viva vissuta, nulla di nuovo per noi artisti, è dalle esperienze che traggo ispirazione, scrivendo mi sfogo, butto fuori le negatività.
Perché “Inverno deep”? Il buio dell’anima, la speranza di rialzarsi, la fatica dell’artista, lo spettro di un nuovo lockdown? Sono curiosa del titolo.
Ero ad un festival e ho incontrato questa ragazza. Stava parlando con altri amici in comune e a un certo punto punta il dito verso di me e dice “Lei è Inverno Deep” ho poi scoperto si stesse riferendo ai miei colori e toni di capelli e viso, avendo appena finito un corso di armocromia. Io ci ho letto molto altro: l’inverno dentro, nascosto dietro ironia e leggerezza. Praticamente io.
Come è iniziata la tua carriera di cantautrice e musicista? Da quale esigenza personale, creativa?
Ho iniziato con una band punk-rock. Ho studiato sia basso elettrico che canto, essendoci già un bassista ho fatto io la cantante. Scrivevo anche i pezzi (in inglese). Ho avuto diverse band in cui sono stata bassista, fra cui i Van Houtens, amici cari, per cui ho suonato il basso per un po’. Ho sempre scritto e ho sempre sentito l’esigenza di far sentire a tutti i pezzi che scrivevo, dall’inglese sono passata all’italiano ma l’esigenza creativa di esprimermi, di sfogare un’emozione e renderla in musica è rimasta la stessa.
Cosa ne pensi del momento difficilissimo per lo spettacolo in generale e per la musica in particolare? Gli indipendenti soffrono molto di più? E le maestranze lavorative? Un tuo pensiero.
Gli indipendenti possono soffrire di meno per il fatto che magari come me hanno un lavoro stabile. Ci sono lavoratori a chiamata nel mondo della musica, artisti che hanno guadagnato abbastanza da farne un lavoro e ora si ritrovano senza entrate perché non stanno in Serie A. Ci sono i lavoratori del settore eventi con l’acqua alla gola. Ci vorrebbero più tutele e chi ha entrate e anticipi stellari, si ricordi da dove arriva… farebbe comodo un po’ di solidarietà e meno egotismo.
C’è ancora spazio per il Punk, in Italia, secondo la tua esperienza?
Mai come adesso! Almeno per un tema di sonorità, l’anima del punk invece viene soffocata dal non pestare i piedi, non offendere nessuno. Da una parte non c’è più modo di fare scalpore, dall’altra ci sono moltissimi tabù, è difficile fare provocazione oggi. Per me quello è essere punk. In Italia quella cosa non credo sia mai sbocciata davvero.
Viaggiare è importante a livello umano, formativo. Le restrizioni di questo periodo ci impongono viaggi mentali, sviluppano la creatività, offrono opportunità e progettualità; ti chiedo, la mancanza parziale di libertà può sviluppare maggiore creatività?
Scrivere una poesia non costa nulla: carta, penna, tanta pratica e se nessuno ti vede nemmeno quella. Quanto lo hanno fatto? Forse più che di creatività in questi mesi abbiamo avuto bisogno di sentirci utili, di fare la nostra parte. Nei contesti in cui le persone si sono sentite creative, ma anche funzionali, ho visto molta creatività. Nella pura espressione di se stessi, meno.
Un artista interessante italiano e uno internazionale: dammi due nomi
Machine Gun Kelly, sto in fissa per il suo ultimo album. In Italia HU, si merita veramente tantissimo ed è un esempio per tutte.
Manca un po’ di innovazione nel panorama italiano? In Italia abbiamo avuto gli Squallor, gli Skiantos, Rino Gaetano, Ivan Graziani, artisti che erano davvero dei marziani.
Manca eccome e innovazione vuol dire investimento. È paradossale che l’innovazione più grande, arrivi dagli artisti indipendenti, quelli che producono la musica più interessante, che dopo un po’, se tutto va bene, arriva anche alle major. In tutte le altre industrie, (perché la musica è un prodotto, giusto?) i grossi investimenti li fanno le grandi multinazionali, le aziende più grandi. Per attivare dinamiche di innovazione e per essere veloci le altre industrie ci insegnano che servono luoghi dedicati alla costruzione di idee e prototipi, contaminazione fra le persone, ricerca sul campo e online. Senza questo, si rischia poco e quindi ci mancano i marziani che hai citato tu sopra.
foto in evidenza di Stadi Parsa