Lo stalker aveva la fiamma sul berretto. E la vittima pure. Mail, telefonate, sms, cuoricini e minacce. E’ una storia sorprendentemente uguale a tutte le altre in materia quella che si è appena chiusa a Roma con la condanna in appello di un maresciallo dei carabinieri che perseguitava una marescialla. Le ronde fuori dalla caserma. Messaggini di giorno e di notte. Durante e fuori dal turno. Con il telefonino di servizio o altri attivati appositamente, come i profili facebook. Ed ancora mail a raffica, telefonate. Quasi seicento contatti molesti in due mesi, tra cui 348 sms. La denuncia. La condanna in primo grado a due anni. E ora la conferma.
Stalking di routine. Si aggiunge solo la divisa. In questo caso indossata da chi è stalkizzato, da chi stalkizza, e chi interviene in servizio antistalking. Stessa anche la reazione della vittima, considerata ferma e attiva al lavoro, e disperata fuori. Lo ha riferito un’amica della marescialla: ”Una donna in alcune circostanze è indifesa”, piangeva.
Lo stalker è stalker. Annienta la vittima. La costringe a cambiare abitudini. Rosa, che si era ritrovata a rinunciare dalla palestra ai servizi di pattuglia, aveva paura di denunciare. Temeva per la sua carriera. Alla fine ha avuto coraggio. In aula a testimoniare sono arrivati dall’appuntato al generale. A sostenerla l’avvocata Donatella Amicucci. Ora è libera. Non deve sottostare più a un collega di pari grado che l’avvertiva: ”Maresciallo, mi risponda è un ordine. Altrimenti…”. Per il maresciallo stalker la difesa calibrata sul corteggiamento non ha funzionato. A tradirlo pure l’arroganza: ”Questa mail vale come stalking”, ha persino scritto.