Tra il bianco della pietra, il profilo magnetico, i vetri che ci lasciano sempre con gli occhi nel mare, il waterfront di Oslo è trasformato: la baia industriale è diventata un centro di eccellenza culturale con linee architettoniche sorprendenti e un concept all’avanguardia. Rigenerare gli spazi per rigenerare la cultura e il modo di essere cittadini, la capitale della Norvegia in una decina di anni ha reso Bjørvika, il pesante quartiere industriale dei container, un gioiello di sperimentazione. Il Teatro dell’Opera inaugurato nel 2008 è stato il primo passo, granito bianco e marmo di Carrara italiano accompagnano il visitatore fino al tetto con una vista mozzafiato sull’Oslofjord. La baia di Bjørvika, infatti, è la punta interna del fiordo nel bacino dello Skagerrak, con tutto il fascino del mare del nord. Accanto al teatro dell’Opera, c’è il Munch Museet, l’attesissimo nuovo museo di Munch oggi ospitato a Tøyen, in una forma ridotta rispetto a quella che sarà l’offerta nella costruzione super moderna. L’inaugurazione, prevista per l’autunno, è slittata all’estate del 2021 a causa del covid. Intanto però un altro grande centro culturale ha aperto nella baia, a giugno, sempre nella zona a poca distanza dalla stazione: la Deichman Bjørvika, la nuova sede della biblioteca pubblica di Oslo. Sei piani di libri, un’architettura che mira a definire la stessa essenza della biblioteca come spazio in cui la cultura, semplicemente, si vive.
Benvenuti a Oslo tra natura e cultura
Oslo è cultura e natura, c’è un legame strettissimo tra la concezione dell’arte (in ogni suo aspetto), l’architettura e il modo in cui i norvegesi pensano il rapporto con l’ambiente. Non si tratta solo di riconoscimenti, Oslo certo è Capitale Green del 2019. Non sono solo le caratteristiche iniziative, tipo quella dei soci del club del Bagno ghiacciato del Ministero degli Esteri che ogni giovedì mattina, durante tutto l’anno, si tuffano dal molo di Tjuvholmen nel centro città. C’è una spinta dei singoli che diventa approccio culturale. Ancora più interessante visto che petrolio e gas hanno permesso alla Norvegia di compiere il salto dal punto di vista economico, e ancora oggi quelle risorse sono una fonte importantissima. Appare una contraddizione rispetto alle forti politiche ambientali, ai chilometri e chilometri di piste ciclabili, ai mezzi pubblici eco, agli obiettivi di abbattimento delle emissioni, alle soglie ambiziose di utilizzo delle auto elettriche.
“Vogliamo contrastare l’inquinamento, siamo noi che vogliamo muoverci in bici, con i tram, lo possiamo fare”, raccontava così una 45enne in un negozio in centro, nell’agosto del 2019, dietro Karl Johans Gate. Un fuoco negli occhi, una convinzione semplice: che l’azione di un cittadino possa influire. Oslo è green perché è la mentalità dei cittadini a spingere verso gli obiettivi di sostenibilità: un approccio ricercato quasi con l’urgenza di abbattere l’inquinamento, le emissioni, il cambiamento climatico, in un Paese dove i ricchi giacimenti di idrocarburi costituiscono la prima voce delle esportazioni.
Oslo si muove con iniziative mai viste altrove. Nel 2015 è partito il progetto per l’autostrada delle api: un percorso che consente alle api di muoversi nella città attraverso corridoi ideati per salvarle. Ogni 250 metri, su una determinata direttrice, ci sono stazioni di polline, vasi di fiori su tetti e balconi. Non c’è niente del genere in nessuna altra parte del mondo. La sostenibilità è diventata un mood, per i ristoranti, gli alberghi, le case.
A Oslo, proprio a Bjørvika, vicino all’autostrada, c’è Losæter un progetto di agricoltura urbana e di comunità. Il campo, creato nel 2013 con la terra di 50 agricoltori provenienti da tutta la Norvegia, è un laboratorio permanente di agricoltura biologica che coinvolge quattrocento persone: studenti, agricoltori, erboristi, fornai, apicoltori. Nei mesi estivi, ogni mercoledì sera, c’è una cena di comunità aperta a tutti. Uno dei volti di Bjørvika.
Dai grigi container a centro culturale e sociale: Bjørvika
Il quartiere di Bjørvika è appena a sud della stazione e si estende fino alla Norwegian National Opera and Ballet. Visitare adesso il lungomare di Oslo è un’esperienza del tutto diversa rispetto a quindici, venti anni fa. Vale la pena compiere lo sforzo di immaginare le due foto affiancate, passaggi di una stessa storia che può essere sintetizzata con una visione, quella di rendere Oslo la Città del Fiordo. C’è da chiarire che come tutti i cambiamenti anche la ristrutturazione del porto di Oslo non è stata indolore: si è discusso, tanto, delle modalità, della nuova città che stava sorgendo.
Bjørvika in norvegese significa baia della città, la zona infatti si trova dove il fiume Akerselva e il fiume Alna incontrano il fiordo. Nell’XI secolo era luogo di commercio, ma tra la peste e gli incendi nei secoli successivi la popolazione diminuì e l’area perse la sua forza. Quando nel XVII secolo grazie alla presenza della fortezza di Akershus – passaggio obbligato nelle visite a Oslo, ben visibile sul lungomare – Bjørvika divenne il porto di una città che si sviluppava a ovest. Lo sviluppo esplose nel ventesimo secolo con l’industrializzazione, così Bjørvika diventò il porto principale della Norvegia. Con la crescita del centro di Oslo, la separazione dalla zona portuale, destinata allo stoccaggio e ai cantieri navali, è stata nei decenni sempre più netta: praticamente strade e container avevano creato una barriera fisica e visiva che impediva l’accesso di Oslo al lungomare.
Una zona portuale trasformata invece in un waterfront attrattivo a livello culturale, con spazi restituiti alla collettività per la socializzazione: non solo i centri della cultura, cioè l’Opera, la Deichman e il nuovo museo di Munch, ma uffici, ristoranti, residenze in luoghi architettonici di qualità. Il lungomare di Oslo è stato oggetto di un profondo progetto di rigenerazione urbana.
Fjordbyen, si chiama così in norvegese, il programma della Città Fiordo. Un vasto piano di recupero lungo dieci chilometri del lungomare di Oslo partito negli anni ’80 con il molo di Aker Brygge sorto su un sito industriale abbandonato, continuato con il quartiere di Tjuvholmen, e che ha reso però,
in particolare, il quartiere di Bjørvika protagonista di una metamorfosi urbanistica e concettuale, diventata esempio nel mondo.
Nel 2008 ha aperto l’Opera, nel 2010 il tunnel vitale per allontanare l’80% del traffico dalle strade che attraversano Bjørvika. Il piano di recupero è un’operazione di rinascita su 650.000 mq, il 40% trasformato in parchi, poi appartamenti, attività commerciali, shopping e cultura. Bjørvika, in base al progetto che è nelle mani di Hav Eiendom, una filiale dell’Autorità portuale di Oslo responsabile appunto dello sviluppo dell’area, fornirà lavoro a più di 20.000 dipendenti.
Passaggi pedonali, ponti, Oslo è stata riarmonizzata in un percorso che ricongiunge il visitatore e il cittadino della capitale norvegese, alla natura e a una nuova elettrizzante offerta culturale che troverà il suo compimento nel 2021, con l’apertura del Museo di Munch.
La nuova stazione ferroviaria, le istituzioni culturali create e trasferite nella baia, e poi c’è il complesso di grattacieli chiamato Codice a barre. Un nome che restituisce la disposizione degli edifici, sempre poco distanti dal mare, dietro l’Opera: dodici grattacieli di diverse altezze su lotti stretti e lunghi con spazi vuoti in mezzo, così l’intera area sembra un grande codice a barre.
La Barcode (come si chiama in inglese), ultimata nel 2016, sede di aziende, ristoranti e luoghi di cultura, fu accolta tra accese polemiche per le forme moderne, e soprattutto per le altezze dei grattacieli che contrastavano con l’architettura preesistente, prevalentemente bassa. Eppure, oggi quel sistema di volumi architettonici è un magnete per i turisti e per i cittadini di Oslo, un simbolo di una nuova capitale norvegese che spunta in una imprevista visuale, incamminandosi sul lungomare o sorprendendo la baia dal ponte pedonale Akrobaten. Si tratta di 206 metri di ponte pedonale, progettato dallo studio L2 Architects, che attraverso i binari della stazione centrale di Oslo collega le due zone di Grønland e Bjørvika. Dal ponte di vetro e acciaio, suggestivo nell’illuminazione notturna, si gode anche della vista dei grattacieli di Barcode e poi, spostando lo sguardo, solo un po’ più in là, c’è il mare scuro del cielo grigio, dal quale, tra i fiordi, ci si aspetta sempre di vedere arrivare una nave vichinga.
Il Teatro dell’Opera dove la monumentalità si fonde con la natura
C’è un essere pulsante che sorge dall’acqua del fiordo di Oslo, emblematicamente vivo nella monumentalità della sua forma. Il piano inclinato di pietra bianca diventa banchina e si fonde con l’acqua: lì senza interruzione, l’architettura e la natura, il mare e la terra, la Norvegia e l’ignoto. Elementi che gli ideatori del nuovo Teatro dell’Opera di Oslo hanno voluto, e che lo studio internazionale di architettura e design, con sede proprio a Oslo e un’altra minore a New York, conosciuto come Snøhetta, ha saputo interpretare alla perfezione.
C’erano anche sua Maestà Harald V di Norvegia, la regina Margherita II di Danimarca e il Presidente della Finlandia Tarja Halonen, il 12 aprile del 2008, quando l’Opera House ha aperto i battenti, inaugurando una vera seconda vita per l’area di Bjørvika, per Oslo. Un evento, la costruzione del Teatro è iniziata nel 2003 con un costo di 3,3 miliardi di kr e realizzata da Statsbygg. Con 38.500 metri, 1.100 stanze, un auditorium da 1.364 posti più due sale, rispettivamente da 400 e 200 posti, è uno dei teatri più importanti d’Europa, oltre che il principale della Scandinavia.
La proposta di Snøhetta è risultata vincitrice di un concorso internazionale, bandito dal Ministry of Church and Cultural Affairs. Snøhetta è uno studio di architetti che ha partecipato alla costruzione della nuova Biblioteca di Alessandria, oltre a lavorare in Norvegia, negli Stati Uniti, negli Emirati Arabi. La mission dello studio è creare un design che armonizzi l’architettura all’ambiente nella quale trova realizzazione: in una fusione, diciamo così, tra le strutture, la natura dei luoghi, la cultura, la conformazione paesaggistica nell’ottica della sostenibilità. Una visione che ha reso unico il Teatro dell’Opera.
Non si può andare a Oslo senza vedere questo centro di attrazione e di cultura. Se si riesce ad avere il biglietto per l’opera, per il balletto, allora è un sogno, ma il teatro di Oslo, comunque, quasi ostenta la sua accessibilità: si vive dentro, ma comincia fuori, perché l’intera struttura è pensata per essere attraversata. Sia avvicinandosi dal lato del lungomare, che da quello del nuovo e ancora non aperto Munch museum, il profilo del Teatro che sorge dall’acqua con il piano inclinato bianco scatena emozioni anche opposte: la sorpresa, l’estraneazione di fronte a elementi che appaiono così diversi, tutto quel mare e tutto quel bianco, i vetri, la modernità. E poi però assale una incredibile sensazione di ricomposizione, di unità, di armonia. Un ricongiungimento reso possibile dalla continuità, con i vetri che mostrano l’interno, e questo tappeto bianco di marmo di Carrara e granito svedese che ricopre il Teatro dell’Opera, dal mare al tetto.
Snøhetta, in linea con la propria visione, ha creato un rivestimento del Teatro che è uno spazio pubblico. Il tappeto, infatti, che esce fuori dal mare e sale verso il cielo su linee però sempre orizzontali, è fruibile: uno spazio che richiama una lenta salita, sulle lastre che hanno incisioni e rilievi (sono opera di Kristian Blystad, Kalle Grude e Jorunn Sannes), camminando verso una vista spettacolare.
Turisti con le mani tese sulla fronte per sbirciare l’orizzonte in una giornata di sole, che può capitare, sorprendente, nelle estati norvegesi. È qualcosa di intimo e naturale, in mezzo a tutto quel bianco inclinato, una volta sulla vetta del Teatro, accovacciarsi a terra, sedersi sulla pietra, toccare il materiale con le mani, guardarsi intorno tra chi scatta foto, e chi semplicemente gode di una strana improvvisa pace. Una visuale pazzesca per la miscela di elementi così diversi: il mare e i fiordi, la città, la fortezza, il nuovo museo di Munch che pare volerti afferrare, e i grattacieli di Barcode.
E all’interno? Tanto, tantissimo legno caldo e avvolgente. E subito finestre alte quindici metri realizzate con un vetro speciale per avere la migliore visuale dell’acqua possibile: così la continuità tra il mare e la terra è garantita anche dentro grazie a un’architettura che ha vinto il Premio dell’Unione Europea 2009 e il premio della cultura al World Architecture Festival di Barcellona.
Il nuovo Munch Museum, l’urlo della modernità nel fiordo
Andare a Oslo senza vedere l’Urlo di Edvard Munch è imperdonabile: la capitale della Norvegia è d’altronde pervasa dal simbolismo intimista di Munch, così caro agli espressionisti, soprattutto nordeuropei. Un simbolismo intimista che certo si trova nel suo ambiente naturale, nel museo dove da sessant’anni le opere del celebre pittore norvegese vengono esposte. È il museo a Tøyen, quartiere a nordest di Oslo, vicino ai luoghi dove l’artista ha vissuto la sua giovinezza. La zona non è in centro, il viale sale gradualmente, a sinistra c’è il grande giardino botanico, un parco dove vale la pena passeggiare, il museo di storia naturale e poi, dirigendosi invece verso destra, si arriva al museo di Munch. Un museo che non è imponente nell’aspetto ma che ospita capolavori, dopo controlli di sicurezza molto rigidi, ci sono i quadri del pittore norvegese più famoso nel mondo. Non solo, il museo è uno dei più grandi in assoluto dedicati a un unico artista.
Grande ma non abbastanza.
Munch ha lasciato in eredità a Oslo l’intera sua produzione artistica: 1100 dipinti, 3000 disegni e 18000 litografie. Così per preservare questo patrimonio e nel contempo andare incontro alle esigenze organizzative dettate dagli spazi, le mostre vengono allestite a rotazione con opere esposte in base al tema. E dopo 60 anni il museo di Munch si attrezza a dare vita alle ultime mostre, dal vivo e digitali, visto che tra qualche mese traslocherà nella nuova futurista struttura del Lambda a Bjørvika, sul lungomare diventato hub culturale. Il passaggio sarebbe già dovuto avvenire, ma con il covid l’inaugurazione è slittata alla primavera estate del 2021.
Il Lambda, si chiama così il grattacielo tra i fiordi, nella baia di Oslo, dal nome della proposta con cui l’architetto spagnolo Juan Herreros ha vinto il concorso di architettura internazionale bandito dopo che il consiglio comunale di Oslo, nel 2008, tra aspre polemiche, ha deciso per il via libera a un nuovo museo dedicato al pittore iconico in Norvegia e nel mondo. Una parte dell’opinione pubblica non voleva il trasferimento, e ancora meno in base al progetto oggi realizzato dell’impattante struttura di 12 piani su una base di 3 piani.
Una enorme costruzione che ospiterà l’intera produzione di Munch, i servizi al pubblico, gli uffici. Sviluppato in verticale, con una parte inclinata che dà l’impressione di sovrastare e di muoversi pur nella potenza statica della forma. La scelta di un’architettura così divergente dal contesto, dalle linee orizzontali dell’Opera, è stata aspramente criticata, ha diviso tra favorevoli e contrari.
Cosa si prova guardando il nuovo museo di Munch? È indubbio che arrivati sul lungomare e vicini all’Opera che si erge dall’acqua coma una divinità, la visione del museo è una nota che suona non stonata ma divergente. Una sintonia con Oslo che si ritrova però guardando proprio il Lambda dal tetto dell’Opera, dove i contrasti compresi tra il Barcode e il mare suonano poi, di colpo, la stessa sinfonia, quella di una capitale capace di sfidare il futuro, in una miscela di avanguardia e tradizione, sostenibilità e cultura. E coraggio.
Deichman Bjørvika, incredibile biblioteca di Oslo con una stanza magica
C’è anche uno studio di podcast nella stupenda biblioteca di Oslo, la Deichman Bjørvika, che ha aperto a giugno, altro elemento della trasformazione della baia, del quartiere dei container portuali diventato un’officina di cultura sul mare. La Deichman Bjørvika, che si illumina la sera in maniera suggestiva, fa parte della rete delle biblioteche pubbliche di Oslo e ora è la più grande e fornita: 450mila libri distribuiti su tre torri nere, sei piani di cui uno interrato, 13.500 metri quadrati. La biblioteca è stata progettata dagli architetti Lundhagem e Atelier Oslo, in una concezione di innovazione e creazione di spazi pensati per scoprire la lettura in ogni sua possibilità. Aperta alla città in ogni modo, in un manifesto di accoglienza, con ingressi in ogni direzione verso Oslo. Un modello di cosa dovrebbe essere una biblioteca pubblica: ci sono zone gioco, aree per la lettura, studi di registrazione, laboratori, vetrate immense per immergersi con gli occhi nel fiordo, a poca distanza dal Teatro dell’Opera e dal nuovo Munch Museum. L’unica biblioteca aperta la domenica a Oslo, e al quinto piano, oltre al ristorante e alla terrazza, spazi pensati per riflettere, tra colori tenui e accoglienti.
Una biblioteca che ha anche un dipartimento di scienze sociali, di storia, psicologia, filosofia e religione. Oltre che la letteratura su Oslo e la collezione originale di Deichman.
Al quinto piano, poi, c’è una stanza speciale. Uno spazio tutto riservato al progetto artistico Framtidsbiblioteket, Future Library. Cos’è? Immaginate una stanza dove sarà conservato un testo originale ogni anno fino al 2114. Karl Ove Knausgård consegnerà il suo contributo nel 2020. Sarà l’autore numero sei della Future Library e il primo a collocare il suo manoscritto nella stanza magica di Deichman Bjørvika.
Future Library, 100 anni di storie
Un progetto pazzesco ispirato dall’artista scozzese Katie Paterson, classe 1981, una delle più apprezzate della sua generazione. Il lavoro della Paterson, che collabora con studiosi di tutto il mondo, si focalizza sul rapporto tra l’uomo e il suo stare sulla terra nel tempo. Con tutte le implicazioni che possono mappare questo viaggio: Paterson ha trasmesso in diretta i suoni di un ghiacciaio che si scioglie, ha un archivio dell’oscurità dell’universo, ha censito le stelle morte. Paterson ha esposto a livello internazionale, da Londra a New York, da Berlino a Seoul, e le sue opere sono state incluse in importanti mostre tra cui Hayward Gallery, Tate Britain, Kunsthalle Wien. Così dalla sua ispirazione nel 2014 è nata Future Library: per cento anni, ogni anno, un autore depositerà un proprio testo e nel 2114 i testi saranno pubblicati in forma di libro. Per realizzare quel libro sarà utilizzata la carta ottenuta da mille alberi piantati a Nordmarka, è possibile arrivarci a piedi per vederli, in una zona boscosa appena fuori Oslo.
Nel 2114, solo allora i testi che parlano di noi, si potranno leggere.