La storia delle Acque Albule e dei laghetti del Barco a Tivoli è una di quelle che si perde non tanto nella notte dei tempi quanto nella lunga serie di carte bollate portate in tribunale e culminate nell’ultima sentenza in ordine cronologico: quella che vede il gigante del termalismo tiburtino vincere al primo round contro i piccoli Davide che si trovano nell’area a ridosso della via Tiburtina. Parliamo dei “laghetti”, una serie di attività ricettive sorte più o meno spontaneamente dove un tempo si faceva il bagno di nascosto, godendo così dei benefici dell’acqua sulfurea, ricchezza e patrimonio della città, a costo zero. Le strutture, ad oggi se ne contano cinque, hanno nel tempo dato del filo da torcere alla società per azioni a maggioranza pubblica che nel frattempo ha cambiato il nome dello stabilimento con il più esotico Terme di Roma, una scelta che non ha aiutato i bilanci a quanto pare penalizzati dalla concorrenza dei piccoli che staccano forse troppi biglietti. La questione è presto spiegata: lo sfruttamento dell’acqua dai mille benefici legati alla presenza di zolfo, è data dal Comune in via esclusiva alla spa e quindi i diretti concorrenti opererebbero sfruttando un bene senza titolarità. L’ultima sentenza in ordine di tempo è quella dello scorso 8 luglio, che ha chiuso un cerchio aperto ben 8 anni fa quanto la partecipata del Comune di Tivoli ha trascinato in Tribunale “Bambù, “Parco Tivoli”, “Eden”, “H2SO” e “La Siesta” per ottenere un risarcimento dei danni subiti per l’attività svolta dalle controparti.
La sentenza di luglio e la condanna dei Laghetti
Secondo il Tribunale di Tivoli la concorrenza del gruppo del Barco effettivamente qualche problema dal punto di vista legale ce l’ha, tanto da condannare i cinque ad un risarcimento danni, inferiore a quello chiesto dalla Acque Albule pari a 5 milioni di euro ma comunque consistente: si tratta di 730.434,00 più le spese legali e la richiesta di “immediata cessazione, all’interno dei siti dalle stesse gestiti, dell’attività di balneazione e comunque di qualunque altra attività che comporti lo sfruttamento abusivo delle acque che affiorano in superficie”. Chiaramente la questione non finisce qui e i ricorsi sono stati preparati in un batter d’occhio anche per garantire continuità alle attività che – Covid permettendo – sono operative proprio in questi mesi.
Il tema cardine su cui la società per azioni ha fatto ruotare l’impianto della citazione in giudizio, è quello relativo allo sfruttamento della risorsa termale, affidato in via esclusiva dal Comune di Tivoli alla sua società fino al 2031. Una proroga arrivata dall’amministrazione Proietti nel precedente mandato con voto del consiglio comunale, il tema che tiene con il fiato sospeso bagnanti affezionati e i diretti interessati, su tutti il socio di minoranza del municipio, la Fincres srl guidata dal Ragionier Bartolomeo Terranova.
Per i “laghetti” le cose però non stanno così, tanto da decidere di intraprendere una battaglia che si basa anche sul principio della libera concorrenza e sulla questione, davvero annosa, di quale sia l’acqua veramente usata per svolgere la propria attività. In realtà proprio il governo guidato da Giuseppe Proietti aveva dato vita nel tempo ad un tavolo tecnico intorno a cui si sono sedute tutte le parti interessate di cui forse in pochi si ricorderanno, Comune compreso, visto che in prima battuta nessuno ne aveva memoria, al contrario del promotore, Gabriele Terralavoro, consigliere comunale al secondo giro di boa che carte alla mano ci ha raccontato a che punto siamo arrivati.
Il tavolo del Comune e la soluzione affidata agli esperti dell’Università della Tuscia
Partiamo dalla notizia di fondo: il tavolo è vivo e vegeto e se la questione legale procede secondo un proprio iter, che sicuramente non sarà breve, Palazzo San Bernardino tenta comunque di salvare il salvabile vista anche la necessità di dare al turismo qualche chances in più: “Già nel precedente quinquennio l’amministrazione, consapevole del potenziale che un modello di tipo diffuso delle realtà balneari e/o termali sul territorio è in grado di offrire alla città, dopo l’istituzione del tavolo tecnico, ha avviato uno studio di fattibilità con l’obiettivo ambizioso di aprire la strada ad una vera e propria “città termale” – racconta Terralavoro -. Abbiamo acquisito un parere preliminare da un professionista esperto nel settore ed è stata adottata in giunta una delibera volta alla ricognizione del territorio sotto il profilo minerario dalla quale si evincano le emergenze riconducibili a sorgenti ed affiori naturali delle risorse minerarie/termale e, da ultimo, nel dicembre 2019 è stato affidato il relativo incarico al Dipartimento di Scienze Ecologiche e Biologiche dell’Università della Tuscia la quale, salvo la parentesi covid, sta procedendo come da convenzione”.
Quindi i documenti chiave sono due: una delibera di giunta per valutare la questione dell’acqua e se effettivamente ci sia concorrenza sleale e un incarico tecnico, affidato pochi mesi fa, che dovrebbe sciogliere l’arcano e che pesa economicamente 19.000 euro. Nella delibera, la 102 del 2019, infatti si precisa che la volontà è quella di salvaguardare tutti e che per farlo ci vogliono mappe e cartografie e un aiuto specifico che deve arrivare proprio dall’ateneo universitario messo al lavoro sul tema e dalla cui relazione tecnica potrebbe arrivare anche la soluzione definitiva sciogliendo il nodo dello sfruttamento delle acque. Insomma bene il termalismo diffuso ma senza danneggiare nessuno: “Certo l’ipotesi di sostenere la promozione e/o lo sviluppo di nuovi centri, stabilimenti e/o parchi balneari (come pure avvenuto in altre realtà regionali) non può prescindere da una attenta analisi dei contrapposti interessi atteso che l’utilizzo di una risorsa mineraria, in qualsiasi forma esso si esplichi, deve comunque essere accompagnato da politiche di salvaguardia della risorsa stessa e di cura del contesto territoriale ove questa si colloca, quale il decoro urbano la conservazione dei valori identitari e culturali del paesaggio agrario, la qualità della vita della comunità locale che deve trarre benefici dal suo esistere”. Benefici che finora si sono visti ben poco se si considerano anche i vistosi aumenti di prezzo dell’ingresso alle Terme di Roma di quest’anno, che hanno reso impossibile per le famiglie tiburtine passare del tempo nel grande parco di Tivoli Terme. Una possibilità su cui lo stesso comune avrebbe dovuto investire di più anche nell’ottica della riduzione degli assembramenti e per offrire allo stesso tempo un aiuto concreto anche dal punto di vista economico a chi non si è potuto permettere una vacanza.