Avere una passione e crederci fino a superare i propri limiti. La sfida di Omar Di Felice, ciclista romano trentanovenne, campione italiano di ultracycling. Pedalare ininterrottamente per giorni interi, affrontare talvolta climi estremi o importanti dislivelli, è quello che la disciplina gli richiede ed è con questo che Omar si confronta ogni giorno con fatica, dedizione e grande attitudine mentale. Per citare solo alcune delle imprese che ha messo a segno: la Parigi-Roma no stop, in cui con la sua bicicletta ha percorso una distanza di 1600 km partendo dalla Tour Eiffel e arrivando al Colosseo in 76 ore; o ancora Ultracycling Dolomitica, dove ha scalato quindici passi di montagna, 585 km con quindicimila metri totali di dislivello. E poi Omar detiene il record mondiale di attraversamento orizzontale dell’Italia da ovest ad est, distanza di circa 800 km, con il tempo record di 24 ore e 39 minuti. Insomma, mettersi in gioco è l’essenza della sua esistenza, un vero stile di vita.
La passione per il ciclismo come è iniziata?
Quando ero bambino mi piaceva guardare in tv le imprese di Pantani e poi mio padre era appassionato di bici, non lo faceva come professionista, ma si dilettava. Così, ho iniziato questo percorso, che si sarebbe poi con gli anni trasformato in un lavoro, dalla trafila classica passando per le giovanili di ciclismo arrivando fino al professionismo. Con il tempo poi ho virato sul ciclismo in solitaria, quello delle ultra distanze. Ho una storia familiare un po’ particolare e diciamo che ad un certo punto il ciclismo è stato per me un’evasione, il mio modo di affacciarmi alla vita. Il ciclismo mi ha sempre dato un grande equilibrio; l’allenamento, uscire in bici e immergersi nella natura è stato per me un training mentale. Sognavo di sfidare i miei limiti e percorrere lunghi percorsi. Così è arrivato l’ultracycling, un modo di vivere per me.
La prima impresa?
Era ancora solo una passione per me il ciclismo, nel 2012, quando ho deciso di sfidare me stesso, prendendo un biglietto aereo per Tolosa, bicicletta dentro una scatola e via. Sono laureato in design e al tempo ero un grafico in una società editoriale, approfittando dei miei cinque giorni di ferie mi sono posto l’obbiettivo di pedalare da Lourdes a Santiago de Compostela, solo io e la mia bici. Dopo questa esperienza ho avuto nitido davanti ai miei occhi quale fosse realmente la mia strada e di cosa volevo vivere. Ho fatto delle scelte professionali importanti, rischiando molto senza avere certezze. In Italia nell’ultradistanza sono l’unico che è riuscito a trasformare la passione in lavoro. La potenza dei social mi ha aiutato a raggiungere un grande seguito.
Quali percorsi scegli per i tuoi allenamenti?
Sono originario di Roma ho vissuto tutta la mia adolescenza a Nettuno quindi sicuramente quei luoghi mi sono molto cari e poi anche le zone tra Guidonia Montecelio, Tivoli, mi piacciono molto, ti danno la possibilità di confrontarti con montagne, colline, molta natura.
Le ultime sfide in cui ti sei imbattuto?
Ho appena preso parte alla Race Across France, gara di Ultracycling di 2600 chilometri no-stop terminando secondo assoluto sul podio. Sono poi tornato da poco da una traversata no-stop delle Alpi: 4 giorni, 23 ore, 2 minuti e 52 secondi questo il tempo che ho impiegato per percorrere questa lunga tratta. Ho superato anche le mie aspettative, pensavo di riuscirci in sei giorni. La costanza e la voglia di mettermi sempre di più in gioco mi ha aiutato a restare lucido anche nei momenti più difficili. È stato un bellissimo viaggio dentro di me.
Prima di questo, a febbraio, avevo affrontato il deserto del Gobi, in Mongolia, attraversandolo in bicicletta, totalmente solo, impiegando 17 giorni e dovendomi confrontare con l’inverno e con una pandemia mondiale che mi ha tenuto lontano da casa un mese più del previsto. Inoltre alla vigilia di questa mia partenza sono stato investito da un automobilista con conseguente costola incrinata, trauma cranico e forti contusioni. Niente però mi ha fermato dall’obbiettivo che mi ero prefissato: pedalare oltre 2000 km in condizioni di freddo estremo nel deserto del Gobi. Sono stato l’unico ciclista a farlo. L’estremo è la mia vita.
Nelle tue avventure al tuo fisico togli una componente molto importante, il sonno, come ci riesci?
Metto in atto diverse tecniche affinché il mio corpo possa in qualche modo riposare e ricaricarsi. Ad esempio nella Parigi-Roma ho attuato quella dei micro sonni, ogni dodici ore mi fermavo dormivo mezzora e ripartivo; mentre per la traversata delle Alpi sono rimasto in sella anche per 18 ore per poi dormire tre ore di fila e ricominciare.
Hai visitato moltissimi Paesi. Quale ti è rimasto più nel cuore?
Decisamente l’Islanda, muoversi in bici in quei luoghi è magico, un sogno incantato.
Cosa ti spinge a superare sempre di più i tuoi limiti?
Di base faccio una cosa che amo, il fatto che ci sia come radice una grande passione mi consente di affrontare ogni difficoltà al meglio. In fondo sto pedalando, mi imbatto in paesaggi meravigliosi, quindi la difficoltà fisica passa in secondo piano.
Cos’è “la zona Omar”?
È venuta fuori un po’ per gioco all’inizio del mio percorso. La gente mi vedeva sempre pedalare in condizioni diverse, freddo, neve, tempeste quindi diciamo che è un po’ la zona in cui nonostante tutto continuo ad andare avanti. Ognuno di noi ha una zona oltre cui esce dalla sua personale zona di confort ed entra in questo fase dove bisogna spingersi oltre i propri limiti.
Cosa consiglieresti ad un giovane che vuole cimentarsi in questo sport?
Iniziare se si ha davvero tanta passione ed emozionarsi sempre.
Foto Alpi: crediti @Different Media Production
Foto Islanda e Mongolia: Omar Di felice