C’è da immaginarsi le chat WhatsApp, “dai metti anche tu l’hashtag”, e così nella serata della crisi politica su Twitter rimbalzavano i cinguettii dei pezzi forti di Pd e Cinque Stelle per mostrare la ferma compattezza a sostegno di Giuseppe Conte. L’uomo, l’avvocato del popolo tradito dal mai amico Matteo Renzi. Dopo un anno di avvertimenti, ieri il leader di Italia Viva, in diretta, accompagnato dalle ministre (ormai ex) e dal sottosegretario in uscita, tutti ridotti a poco più di comparse di scena, ha annunciato al mondo le dimissioni dei suoi. Lo strappo è avvenuto sulle divergenze della pianificazione di risorse e investimenti per traghettare l’Italia fuori dal baratro. Renzi dice che Conte vivacchia senza visione. Che lui invece con questa mossa intende rimettere al centro la politica. Per farlo sceglie un’operazione in perfetto stile Prima Repubblica con un partito di minoranza di maggioranza che toglie l’ossigeno al Governo. I veti al suon del 3%. Che bailamme.
Un vortice di dichiarazioni e di post, tweet lanciati dal tavolo del Consiglio dei ministri. Con i social impazziti, Twitter invaso da attacchi verso Renzi, paragonato a Bertinotti (insomma), protagonista di caricature, meme, commenti al vetriolo. Intanto arrivavano indiscrezioni univoche dalle stanze di Conte. Il premier è fuori di sé, infuriato. Pd, Cinque Stelle e gli ambienti vicini al Presidente del consiglio, battono ieri e oggi su un solo concetto: la totale irresponsabilità di Renzi, che con 500 morti al giorno, una crisi pandemica da emergenza sanitaria e economica mondiale, apre una crisi di governo per ragioni che non si capiscono. Né le differenti posizioni sul Recovery Plan, né l’insofferenza per le nomine, per la partita servizi segreti, possono giustificare, agli occhi degli alleati, la decisione di andare allo scontro finale e destabilizzare il Paese. Renzi però è preparato anche al massacro mediatico, è consapevole di ogni virgola e si rimette al centro della scena politica.
In politica i livori personali sono un grandissimo guaio. I rapporti freddi tra il premier e Renzi sono peggiorati sempre di più. Renzi di fondo, al di là del Recovery e del Mes, osteggia il decisionismo di Conte che ha accentrato nelle sue mani il potere di gestione dell’emergenza. Insomma, la si può vedere da ogni angolazione, ma l’unico elemento certo è che Renzi per rientrare in partita in ottica di governo non accetterà mai un Conte ter. Il premier deve essere un altro. La migliore ipotesi, in base a quanto si capisce, per Renzi sarebbe un governo tecnico guidato dalla Lamorgese, attuale ministro agli Interni. Ragionerebbe anche su una opzione politica, ma non Conte. Dario Franceschini del Pd? Uno dei nomi che circola ma sembra veramente complessa.
Il punto è uno, con quali numeri governare? Proprio il Pd, lo racconta l’Ansa, manda a dire che i Responsabili per salvare la nave non ci sono, non bastano. E quindi l’ipotesi del voto a giugno, che sembrava ieri sera la più improbabile potrebbe diventare invece molto vicina. Nicola Zingaretti ieri è apparso tra l’attonito e l’allucinato, dopo il pressing su Renzi probabilmente dalle parti del Pd si erano convinti di un lieto fine che invece non è arrivato.
Sono tutti preoccupati. Romano Prodi che il centrosinistra l’ha praticamente fondato, la vede nera. La posizione di Renzi viene condannata dai vescovi alla Cgil. Tra i cinque stelle poi nemmeno a parlarne. In mattinata è il ministro Luigi Di Maio a uscire con due concetti chiari: con Renzi è finita, basta dialogo, ponti chiusi. E invece è partito un appello ai “costruttori europei”, alla responsabilità. “Il mio appello si rivolge dunque a tutti i costruttori europei che, come questo governo, in Parlamento nutrono la volontà di dare all’Italia la sua opportunità di ripresa e di riscatto. Insieme, possiamo mantenere la via. Guardiamoci intorno e troveremo un Paese che chiede di essere ascoltato. Non possiamo permetterci di ignorarlo”.
Alla Camera il presidente Roberto Fico questa mattina ha sospeso i lavori, convenendo sulla richiesta dell’Aula di affrontare la crisi: “A breve convocherò la conferenza dei capigruppo per stabilire un percorso ordinato e responsabile in un momento di così gravità per il Paese. Contatterò il presidente del Consiglio per la richiesta di comunicazioni in Aula”. E questo è il fronte più atteso. Che farà Conte?
Il premier ha tre strade di fatto davanti a sé. Andare dal Presidente Sergio Mattarella e dimettersi. A quel punto Mattarella potrebbe ridargli l’incarico per fargli portare avanti una verifica politica su una nuova maggioranza, ma non è detto che ci riesca, se il salto è al buio. Altrimenti, Conte può parlamentarizzare la crisi, o andare direttamente alla conta. Cioè presentarsi con un discorso duro sulla responsabilità nazionale e sfidare Renzi su una mozione di sfiducia. Inutile nasconderlo, sarebbe un sogno per Conte mandare all’opposizione un altro Matteo, dopo Salvini, rigirandogli il dardo avvelenato.
La più convinta nel centrodestra a volere le urne sembra essere Giorgia Meloni. “Nemmeno è caduto il governo Conte 2 e già si ipotizza un Conte-ter. Le inventeranno tutte per evitare, ancora una volta, di presentarsi al cospetto degli italiani in libere elezioni. È una menzogna che non si possa votare. Elezioni subito!”, dice sui social la leader di FdI. Matteo Salvini chiede a Conte di andare in Aula a riferire, ma da Forza Italia a settori moderati della Lega, si fa strada l’idea di un governo istituzionale. Ma Conte invece cerca la strada del Ter, d’altronde se i sondaggi dicono che il centrodestra vincerebbe le elezioni, dall’altra resta a lui il primato del più amato dagli italiani. Il meno gradito? Renzi.