L’area marina di Portofino è a rischio per colpa del clima. Una delle tappe che questa estate hanno visto Greenpeace impegnata a navigare intorno all’Italia per documentare la salute del mare. Due gli attenzionati speciali: plastica, microplastiche e gli effetti dei cambiamenti climatici. Le microplastiche, più piccole di 5 millimetri non vengono catturate dagli impianti di depurazione quindi finiscono in mare dove vengono mangiate dai pesci, potendo arrivare, in base alla catena alimentare fino all’uomo. Nel pesce che mangiamo, insomma, ci sono le microplastiche. Greenpeace va oltre e in base ai report che ha svolto, viene fuori che nel Mar Tirreno c’è una quantità record di microplastiche. E cosa succede quando la plastica in mare viene ingerita da balene, tartarughe, delfini? Solo per citare le vittime più frequenti, provoca la morte per soffocamento o ingestione.
Poi ci sono gli effetti del cambiamento climatico, cioè salgono le temperature con effetti devastanti su flora e fauna. A luglio a bordo della barca Bamboo della Fondazione Exodus, Greenpeace è arrivata nell’Area marina protetta di Portofino, una delle aree più belle e ricche di biodiversità. Qui l’associazione ha svolto delle immersioni di monitoraggio sulla flora e fauna marina costiera con i ricercatori dell’Università di Genova e gli esperti dell’Area Marina Protetta per il Progetto “Mare Caldo” per verificare che anche qui sono evidenti gli impatti de cambiamenti climatici. Quella di Portofino è l’Area marina protetta più a nord dei mari Italiani e il fatto che anche qui le temperature aumentano fa temere per il futuro della biodiversità marina. Come si fa? “Dobbiamo tagliare le emissioni dei gas serra – dicono da Greenpeace – sviluppare la rete di aree protette in linea con l’impegno dell’Italia di proteggere entro il 2030 il 30% dei propri mari. Se il mare viene tutelato, la biodiversità è in grado di affrontare meglio i cambiamenti in atto”.