Una delle t-shirt a cui sono maggiormente legata è il mio personale ex voto nei confronti della serie tv che vive e regna nella memoria collettiva delle quarantenni oggi: Sex and the city. Per capirci l’ho regalata in formato baby e rosa d’ordinanza alla mia adorata nipote Cecilia per il suo compleanno, così anche lei è andata a zonzo per la città sottobraccio a Carrie, Samantha, Miranda e Charlotte, per Tivoli come sulla Fifth Avenue dove scorrazzavano le ragazze più famose del piccolo schermo.
Peccato che il papà di questo cult, il Re Mida Darren Star, abbia deciso di dare vita anche ad una replica versione 2020 che delude sotto diversi aspetti: “Emily In Paris”. La giovane Emily, brava e bella Lili Collins con un guardaroba di tutto rispetto, è una esperta di social media marketing che arriva a Parigi in sostituzione della collega rimasta incinta per mero errore materiale. Ingenua e brava per caso conoscerà i dolori dell’amore, le gioie dell’amicizia, le difficoltà del lavoro tra arrivismo e carrierismo. Cosa manca? Tutto. Manca il glamour della New York che per ovvi motivi storici non esiste più, manca la ricerca della felicità nelle piccole cose che le quattro americane tra lustrini e paliettes comunque volevano disperatamente sopra ogni cosa.
Manca il riconoscimento di ognuna di noi in Emily, troppo lontana e venata di quel veterofemminismo che la mitica Samantha non avrebbe saputo neanche scrivere. Manca quella capacità di parlare di sesso senza risultare mai fuori misura, mancano le ragazze che non torneranno più, perché alcune volte, anche nell’era della comunicazione sempre e comunque, sarebbe bene non dire, prendere un dvd (io ce li ho ancora) e rivedersi una puntata dove Carrie compra un paio di Manolo Blahnik e si sposa con se stessa per tornare dal suo Mr Big, come la favola chiede. E torna subito la magia. Un cosmopolitan, prego, anche solo per dimenticare.