Susanna Schimperna, giornalista e scrittrice, volto noto della televisione e voce radiofonica: il suo ultimo libro è L’Ultima Pagina, Iacobelli editore. Il tema trattato, complesso, difficile, delicato e anche tabù, perché per la nostra società il suicidio non è un tema molto sviluppato e discusso. Da quale trauma, sentimento, o psicosi i suicidi trovano la forza di rinunciare al bene più prezioso quale la vita? A raccontare questa “psicosi” proprio l’autrice, Susanna Schimperna, che ha ripercorso le vite di venticinque suicidi scelti tra poeti e scrittori famosi quali Ernest Hemingway, Cesare Pavese, Antonin Artaud, Pierre Drieu La Rochelle, Vladimir Majakovskij, Guido Morselli, Antonia Pozzi, David Foster Wallace, Sarah Kane, Virginia Woolf e molti altri. Un elenco prezioso di menti eccelse, un firmamento letterario pregiato se non fosse tragico e con un finale doloroso. Sabato 3 ottobre, ore 14.30, la giornalista e conduttrice tv Bianca Berlinguer e Pietro Sansonetti, direttore del quotidiano Il Riformista, presenteranno il libro di Susanna Schimperna presso l’Auditorium di Roma, Spazio Risonanze 2, nell’ambito di Insieme Festival, la grande festa del libro 2020.
Per provare a comprendere meglio questo argomento estremamente delicato, abbiamo intervistato la Schimperna nel suo percorso di ricerca nella profondità dell’animo umano di questi celebri letterati che hanno compiuto il gesto “estremo”. Ci sono mali più grandi della morte? Lo abbiamo chiesto direttamente all’autrice del libro.
È stato difficile scrivere L’Ultima Pagina? Quanto hai impiegato?
Ci pensavo da molto tempo e quindi da molto tempo accumulavo materiale. Da quando ho iniziato a scriverlo a quando l’ho terminato, mi sembra quattro mesi. Non scrivendo tutti i giorni, però.
Come è nata l’idea di affrontare un argomento – il suicidio – da sempre tabù? Perché l’argomento è tabù, nella nostra società? Perché abbiamo bisogno di allontanarlo?
A quattordici anni ho scritto un romanzo (che devo avere ancora da qualche parte, in un quaderno a righe) in cui, alla fine, la protagonista cercava di suicidarsi. Cercava: non è chiaro se lo volesse davvero o se invece sperasse di essere salvata, come non è chiaro se la salvino oppure no. Impossibile, se hai il vizio di pensare, non riflettere sulla morte e quindi anche sull’omicidio e sul suicidio, che sono dei paradossi: ma come, la morte è la cosa che temiamo di più, il nostro peccato originale e incancellabile, l’orrore che vorremmo sconfiggere, e poi noi questo orrore lo infliggiamo o ce lo infliggiamo? Sulla seconda domanda: l’omicidio è qualcosa di cui si può parlare perché lo si compie in nome della vita (per soldi, per vendetta, per rabbia, perché qualcuno ostacola i nostri progetti), mentre il suicidio, proibizioni religiose a parte, è un tale controsenso che ne restiamo agghiacciati, è la negazione assoluta, è qualcosa che abbiamo bisogno di allontanare da noi perché non lo capiamo e non lo capiremo mai. Ecco allora che ne cerchiamo di volta in volta motivazioni, o che lo liquidiamo come dovuto a un offuscamento della coscienza, tanto che si parla di “gesto insano”, espressione ambigua: era insano chi si è ucciso o insano era il suo gesto? Nel primo caso, la società “perdona” e compatisce, nel secondo no, perché una persona lucida non è ammissibile che si uccida, è considerata colpevole di grave egoismo, al minimo.
Racconti la vita di persone, artisti molto diversi tra loro e di epoche diverse: la storia di venticinque scrittori suicidi. Che cosa hanno in comune tutti loro?
Non lo so. Non l’ho ancora scoperto. A parte il fatto che mi piacciono, tutti. Mi interessano, avrei voluto conoscerli, leggevo i loro libri ben prima di pensare a raccontare le loro storie. Proprio questo mi incuriosisce, ed è un interrogativo che giro ai lettori: trovate che abbiano qualcosa in comune, i miei venticinque scrittori? Cosa?
Cosa ci insegnano le loro vite?
Il dolore e i tanti modi di affrontarlo. Perché prima di uccidersi, tutte queste persone hanno conosciuto il dolore. Per paura, fame, lutti, persecuzioni, disperazione ideologica, isolamento sociale, preoccupazione per i propri cari, angoscia esistenziale, repressione del desiderio, ingiustizie, solitudine. E hanno reagito, hanno provato ad andare avanti. Questo è più importante di tutto: hanno provato ad andare avanti nonostante un dolore profondo, convivendo ogni giorno con un dolore profondo.
“L’Ultima Pagina” scava nella vita di autori che hanno deciso di togliersi la vita: con che animo hai deciso di affrontare l’argomento? Curiosità, riconoscenza verso le loro esistenze?
Entrambe le cose, a cui aggiungo la voglia, forse quasi il bisogno di far conoscere le loro esistenze, le loro opere e le loro sofferenze senza occultare il loro suicidio come fosse poco significativo, o al contrario, per alcuni, cercando di sfuggire al cliché che fa pensare a loro prima come suicidi e poi come autori (soprattutto Cesare Pavese, ma anche Sylvia Plath e Virginia Woolf ). Quindi curiosità, riconoscenza, riparazione.
Racconti la vita, dunque, di scrittori privi di speranza per il futuro, privi di uno sguardo progettuale? Erano privi di speranze? Fa molto riflettere tutto questo, nella “società liquida” che stiamo vivendo e di cui parlava Bauman ossia fatta di individualismo sfrenato.
Ma no, il contrario. Avevano tutti speranza, progetti, uno sguardo ampio, una visione. Persino Albert Caraco, vissuto praticamente nello spazio della sua sola casa e da sempre dichiaratosi vivo per obbligo, vivo fin quando vivi fossero restati i genitori con i quali abitava. È oggi che non abbiamo, che temiamo, che non possiamo permetterci sguardi progettuali, e quindi rischiamo di essere morti in vita, occupati in realtà a sopravvivere più che a vivere.
Che cos’è il “male di vivere”? La nostalgia – per esempio – è struggimento o male di vivere?
Credo che nasca da un qualche squilibrio fra pulsioni e pensieri, che si traduce in un’incapacità di vivere in modo semplice, cioè di agire in accordo a quello che sentiamo e pensiamo. Qui potremmo aprire un discorso non infinito ma certamente lungo su quanta parte in questa stortura sia da addebitarsi alla società che abbiamo costruito. La nostalgia? Come tutto, non è male di vivere finché non supera una certa soglia, oltre la quale diventa ossessione, angoscia, elemento paralizzante.
«L’uomo non è fatto per essere distrutto», scriveva Hemingway nel romanzo Il vecchio e il mare. Oggi non si accetta la sconfitta, nella nostra società: bisogna avere un’immagine sempre patinata e vincente. C’è correlazione con quanto lui scriveva? Siamo costretti a essere vincitori e non perdenti?
Sì. E il guaio grosso, direi meglio l’incubo primario da cui nascono altri incubi, individuali, è che per “vincente” si intende ricco, famoso, sano, bello, sexy, sessualmente potente, sentimentalmente appagato, con una famiglia perfetta, portatore dei “valori” che si sbandierano continuamente, perfettamente inserito nella società e perfettamente conformista ma allo stesso tempo creativo, originale, “trasgressivo”, resistente a tutto ma capace di lacrimare al momento giusto, di soffrire come la società ritiene opportuno si debba soffrire, né di più e né di meno, e neppure in modo diverso. Questo è il modello vincente. Un robot. Un essere paradossale, non umano. Hemingway, quando parlava di un uomo che non è fatto per essere distrutto, intendeva ben altro.
La tua scrittura ha due componenti che ti contraddistinguono: ricercatezza e sensibilità. A chi è rivolto il tuo libro?
Grazie. L’unica cosa che tengo presente è la chiarezza. Voglio essere sempre chiara, comprensibile, non equivocabile. Non voglio che chi legga debba sforzarsi perché io sfoggio cultura, parole desuete e contorte costruzioni sintattiche. Se però il risultato è anche di ricercatezza, ne sono felice. La sensibilità penso dipenda dal modo in cui mi accosto alle personalità e alle vite altrui, con rispetto, con autentico desiderio di capire. Forse è vero, come diceva Leonardo, che «tutto ciò che è capito profondamente è bene», perché nel capire trovi un senso, e quando trovi un senso è difficile condannare. Sulle persone a cui è rivolto il mio libro, penso che lo leggeranno quelle che amano la letteratura, quindi conoscono gli scrittori di cui parlo o perlomeno una parte di loro. Ma può darsi che sia interessato anche chi non è un grande lettore e voglia approfondire il tema del suicidio attraverso le vite di chi ha posto fine alla propria esistenza.
foto di Marinetta Saglio