Gli anni 70 sono tornati! È arrivato in Italia il libro che ha convinto l’America, Daisy Jones & The Six bestseller e miglior libro dell’anno di Taylor Jenkins Reid, pubblicato da Sperling & Kupfer. L’ascesa della famosa band negli anni ’70 e di come all’apice del loro successo, dopo un concerto strepitoso al Chicago Stadium, abbiano deciso di sciogliersi.
Se state rovistando negli anfratti della vostra memoria per cercare di ricordare chi sono, che volto hanno, una canzone nota, una copertina di un album e nulla riaffiora, tranquilli. La vostra memoria non vi sta tradendo, semplicemente Daisy Jones & The Six non sono mai esistiti ma la struttura e la prom dell’opera è talmente ben fatta che anche il più grande estimatore di musica può essere tratto in dubbio.
Daisy è una ragazza cresciuta troppo in fretta tra i club della Sunset strip. Ama la droga, l’alcool, va a letto con le rockstar e sogna di cantare in uno dei locali più in voga a Los Angeles il “Whisky a Go Go”. Vive sempre su di giri, ma quel che ama di più è il rock. Amore che realizzerà unendosi alla band più in auge del momento i “The Six” il cui front band, Billy Dunne, è un concentrato di dipendenze :dal sesso, dalle droghe, dall’alcol e forse dalla stessa Daisy. La voce di lei e l’impeto dei The Six crea magia, rock puro, adrenalina palpabile.
Tra le pagine sembra di sentire accordi struggenti, fan in delirio, ascendenze psichedeliche e l’estasi di un’intera generazione. Ma come ogni bel sogno anche quello della band è destinato a svanire. Daisy Jones & The Six sciolgono il loro sodalizio senza rilasciare dichiarazione né fughe di notizie. A chiarire cosa sia successo arriva in soccorso questo libro, che ha la struttura di un documentario, una sorta di biografia orale nella quale Daisy e i componenti della band raccontano la loro verità sotto forma di intervista. Una falsa biografia, una finta band in una America reale.
Gli anni Settanta prendono vita tra le pagine, la sensualità di quel decennio, l’impeto dei ragazzi, gli eccessi come protesta. La struttura non convenzionale dell’opera, affidata a una sorta di monologo dei componenti della band, ai manager e ai critici musicali funziona molto bene. Come in un giallo si viene a conoscenza dei fatti narrati da più angolazioni e dopo i primi momenti di smarrimento per capire che tipo di testo si ha di fronte, la storia prende il sopravvento e tu sei lì a goderti lo spettacolo. Ma questo espediente narrativo se da una parte è scelta vincente dall’altra ne è limite, poiché affidare il tutto alle parole degli altri, fa in modo che i personaggi risultino un pò piatti, incastrati in un ruolo, impotenti ancora una volta di raccontare la verità.
Gli anni Settanta scorrono in sottofondo e viene data loro la giusta riconoscenza, nessun cliché di gonnelloni falk, pantaloni a zampa e capelli gonfi, ma cuori sognanti di una generazione arrabbiata che ha veicolato nella musica desideri e frustrazioni.
Negli Stati Uniti è stata molto apprezzata la versione in audiolibro che ha reso ancora più credibile il tono – intervista del testo. In Italia non sembra ancora prevista questa opzione anche se grazie all’ottima traduzione affidata a Stefano Bortolussi (già traduttore di Stephen King e Erik Forsyth), che è riuscito a conferire al testo musicalità, non sarebbe una scelta azzardata.
È ormai notizia certa che Daisy Jones & The Six diventerà una miniserie in puntate la cui produzione è affidata a Reese Whiterspoon in collaborazione con Amazon e che il cast sarà un grande omaggio al rock poiché l’attrice scelta per interpretare Daisy sarà Riley Keough, nipote di Elvis Presley (figlia di Lisa Marie).
Un libro quindi che ha fatto rumore come un riff acuto, perché la musica è la vera protagonista dell’opera, musica che viene raccontata con i giusti termini e per meglio rendere credibile l’immenso artefatto la Reid ci regala un intero album di testi che chiuso il libro viene voglia di ascoltare… ma Daisy Jones and The six non esistono.