Anno domini 2021. Voi mi direte, il calendario ce l’abbiamo tutti, cosa vorresti puntualizzare? In realtà l’anno mi serve più per contestualizzare una storia fuori dal tempo che si sta consumando nella Repubblica di San Marino. Il piccolo stato, che si trova incastonato, o forse incastrato, tra le Marche e l’Emilia Romagna, è al centro delle vicenda che vede le donne sammarinesi costrette a ricorrere allo strumento referendario per legalizzare l’aborto. Avete capito bene, non siamo agli inizi del secolo scorso ma negli anni dei diritti acquisiti, almeno per una parte del mondo, e nonostante l’orologio del vostro smartphone segni l’ora e il giorno contemporaneo c’è un posto, a un tiro di schioppo dal Bel Paese, in cui il principio dell’autodeterminazione viene sistematicamente negato.
Insomma, nei giorni in cui si parla con sgomento della legge texana che si occupa sempre di questo argomento, qualcuno timidamente ci dice che molto meno lontano avviene praticamente la stessa cosa, ovvero che l’aborto è illegale in ogni circostanza, anche in caso di stupro, gravi malformazioni del feto e pericolo di vita per la donna. Cosa si rischia? Fino a 6 anni di carcere per chi decide di interrompere la gravidanza e per chi l’aiuta, fatto incredibile, per utilizzare un eufemismo. La consultazione ci sarà il prossimo 26 settembre e l’apertura della campagna venerdì, sulla spinta dell’attività dell’Unione Donne Sammarinesi, che nei messaggi lanciati attraverso i social parlano di una mobilitazione fatta a beneficio delle generazioni future, di tutte quelle figlie che rischiano di restare schiacciate da una legge risalente al 1865, riconfermata in epoca fascista e nel 1974. Un’occasione preziosa per scardinare definitivamente un sistema punitivo che ci deve far sentire tutte e tutti vicini a una comunità bloccata in un pericoloso oscurantismo culturale e sociale.