Quella che si prospetta per il Referendum del taglio dei parlamentari, è una debacle clamorosa del fronte del no che ad oggi nei sondaggi non potrebbe contare neanche su un terzo dei voti da parte dell’elettorato. È quanto è emerso dal sondaggio Ipsos pubblicato ieri mattina dal Corriere della Sera, che vede i sostenitori del sì prevalere con il 71% dei suffragi. I partiti a favore del provvedimento costituiscono un fronte piuttosto trasversale, Il Pd rischia di spaccarsi.
I sovranisti per il Sì
Fatto salvo il M5S, primo fautore della riforma, il sì è sostenuto anche da FdI e Lega. Giorgia Meloni e Matteo Salvini puntano con decisione a un risultato positivo delle elezioni regionali per poter dare una spallata al Governo. Sul referendum non hanno dubbi, probabilmente anche per questioni meramente di calcolo politico, ma il loro approccio è più timido.
“Abbiamo votato sempre per il taglio dei parlamentari a cavallo dei due governi Conte. Ora non ho motivo di cambiare idea anche se comprendo diverse critiche che vengono mosse”, spiega la leader di FdI in un’intervista a La Stampa. “So bene – continua Meloni – che non basta il taglio e abbiamo fatto notare che non si possono tagliare gli eletti e lasciare lo stesso numero dei senatori a vita, facendolo pesare di più nell’elezione del capo dello Stato. Insomma, noi la nostra parte l’abbiamo fatta. Tra l’altro siamo l’unico partito che non ha prestato senatori per chiedere il referendum. Adesso però la decisione spetta agli italiani, che sono liberi di votare per il SÌ o per il No. Ma attenzione per noi la vera battaglia non è questa: il test politico per il governo sono le regionali. I 5 stelle invece vogliono spostare tutto il focus del voto del 20 e 21 settembre sul referendum: è un modo per evitare di dare peso al voto sui governatori. E non capisco perché nel centrodestra si dia sponda a questo tentativo visto che il referendum pesa zero sul governo”.
Diversamente, il leader della Lega pareva non avere dubbi sul sostegno al provvedimento.
“Sul taglio dei parlamentari ho sempre votato sì e continuo a dire sì”. Aveva ribadito il 25 agosto il leader del carroccio. “Secondo me – continuava Salvini – il Parlamento può lavorare tranquillamente anche con meno parlamentari”. Oggi il capitano ci ripensa e usa il palcoscenico elettorale per puntare al bersaglio grosso. “Al di là del risultato di Regionali e Referendum, prima gli italiani potranno tornare a votare per scegliere un Parlamento (e quindi un governo) nuovo, più concreto e meno litigioso, meglio sarà”, ha detto il leader della Lega ad Affaritaliani.it.
Confusione dem
Oltre a Forza Italia e a Italia Viva, tra i sostenitori del no è giusto annoverare una fetta corposa dell’elettorato e dei militanti del Pd. Nonostante gli appelli di Nicola Zingaretti, una parte degli elettori del partito (un terzo secondo le rilevazioni) voterà contro il taglio. Il segretario dem si è rivolto anche al M5S dal palco della Festa dell’Unità di Modena chiedendo di rispettare i patti. In questo caso l’accordo era vincolato all’approvazione di una nuova legge elettorale per garantire adeguata rappresentanza anche con un numero inferiore di deputati e senatori. La replica di Di Maio non si è fatta attendere. “Votiamo sì, poi metteremo mano alla legge elettorale e ai regolamenti parlamentari come detto”, ha assicurato l’ex capo politico dei pentastellati. I democratici tra l’altro non hanno ancora una posizione ufficiale, dato che la direzione che dovrà stabilirla è stata convocata per il 7 settembre. Alcuni dirigenti e parlamentari non si sono mai nascosti e dichiarano apertamente la propria contrarietà nei confronti del provvedimento, in dissenso rispetto alla posizione del partito fin qui espressa. Questo è il caso dell’ex presidente dem Matteo Orfini.
“Ovviamente il referendum è fissato da mesi, la campagna elettorale è in corso, ma noi non abbiamo trovato il tempo per discuterne – spiega Orfini –. Dettaglio tecnico: la direzione non si fa in presenza, quindi non ci sarebbe stato alcun problema a convocarla anche in agosto. Ma tant’è. Si è voluto attendere che la commissione Affari Costituzionali incardinasse alla Camera la nuova legge elettorale. Un passaggio puramente formale che nulla garantisce sull’approvazione di quella legge né in aula alla Camera né tantomeno al Senato”. Il deputato si chiede “a cosa serva fare una direzione se la posizione del Pd è stata già solennemente annunciata dal nostro segretario. Già era surreale la scelta di convocarla così tardi, ma adesso è tutto davvero farsesco”. Quella che poteva essere un’occasione di rilancio per il Governo, rischia di diventare per il Pd una battaglia quasi esclusivamente identitaria e autodistruttiva, visti anche i numeri dei sondaggi.