Parliamo di teatro, alziamo il sipario, con quei numeri devastanti sulle difficili prospettive di ripresa post Covid-19. Attori, attrici, così come musicisti, cantanti, doppiatori, lavoratori dello spettacolo, le maestranze e le persone che in questo mestiere sono figure fondamentali perché uno spettacolo vada in scena, sono fermi da molto, troppo tempo. Migliaia di teatri italiani senza sostegno, fondi e contributi, moriranno. Un senso di smarrimento, preoccupazione e tristezza pervade addetti ai lavori, attori, appassionati e abbonati: “Dove si andrà a finire, come faremo senza il teatro, senza gli spettacoli dal vivo, il teatro realizzato da chi davvero porta in scena la vera arte, le emozioni, il cuore, il mestiere di una vita”.
Il teatro ci aiuta a condividere le emozioni, ci eleva culturalmente
Da una recentissima ricerca del CNR-Irpps, emerge che il pubblico vorrebbe tornare a frequentare i luoghi di spettacolo dal vivo ma ad alcune condizioni. Il 33% vorrebbe tornare da subito, il 38% del pubblico aspetterebbe ancora uno o tre mesi, tornando quindi ad ottobre.
Il teatro, fin dagli antichi greci, era l’essenza e simbolo della Democrazia. Ai tempi di Pericle la febbre tifoidea bloccò l’attività del teatro; finita poi la pestilenza, i teatri della antica Grecia riaprirono, con l’esclusione però di Sparta che non godeva in quel tempo di un regime democratico. La grande funzione anche religiosa, della più alta espressione della Cultura occidentale non poteva fermarsi, non poteva avere nessuno stop, ne andava dell’esistenza stessa della democrazia. Il concetto di teatro, fruibile dal popolo e altissimo simbolo di condivisione sociale e politico, nel nome della Democrazia, non poteva morire.
Grandi e piccoli teatri in sofferenza ma anche cinema, luoghi di cultura, pagano un prezzo altissimo non soltanto per la paura del contagio ma soprattutto relativo alle normative sanitarie: distanziamento sociale, gli spazi chiusi, il contingentamento del pubblico, gli alti costi per la sanificazione. Se pensiamo che chiuderà probabilmente perfino lo storico Teatro Eliseo di Roma (di cui il direttore artistico Luca Barbareschi ha dichiarato fallimento, con uno strascico di polemiche di cui parleremo ancora, e la lettera dei lavoratori,) immaginiamo la situazione per gli spazi più piccoli. Situazione molto delicata che riguarda i teatri privati e piccoli, ben diversa dai teatri pubblici che operano con fondi governativi ma che, come stiamo vedendo, stanno avendo comunque grandi problemi. E poi ancora, le arene estive, i cinema all’aperto, i drive in. Ce n’è per tutti in questa estate da dimenticare, l’estate della paura, del distacco, del senso di smarrimento, della cassa integrazione e dopo, della prospettiva di licenziamento.
Lo spauracchio, l’incubo della perdita del posto di lavoro e del sipario chiuso. “Andrà tutto bene”, cantavamo e disegnavamo striscioni da finestre e balconi, soltanto qualche mese fa.
Ancora il Teatro Eliseo: i lavoratori del teatro hanno inviato una lettera al Ministro per i beni e le attività culturali Dario Franceschini per chiedere un confronto urgente, un tavolo di lavoro, vista la drammatica e, sembrerebbe, l’irreversibile situazione in cui versa lo storico teatro romano, prossimo alla definitiva chiusura e messa in liquidazione a fine anno. Soltanto due anni fa, furono festeggiati i 100 anni del Teatro.
Teatro Eliseo e Piccolo Eliseo, dunque, ma anche un altro monumento quale il Teatro Sistina. Il direttore Massimo Romeo Piparo ha fondato e dirige l’ATIP (associazione teatri italiani privati) e più volte ha mostrato forti dubbi riguardo a una ripartenza, ritenendo non possa avvenire prima del 2021 perché “occorreranno due mesi dalla dichiarazione ufficiale della fine dell’emergenza”. I tempi tecnici, burocratici, la logica delle cose. Ha fermato le macchine, sono andati tutti in cassintegrazione e ha rotto per primo il muro dei voucher, rimborsando i biglietti degli spettacoli annullati e saltati.
Dicevamo degli spazi all’aperto, auspicati da più parti, anche a livello municipale e comunale. Per le misure di sicurezza contro il virus, l’Opera di Roma in questa surreale estate 2020 si è trasferita dalle Terme di Caracalla al Circo Massimo, molto più spazioso dove il contingentamento del pubblico è ben armonizzato e dove può tecnicamente organizzare palco e spazi per gli spettatori in modo più adeguato alle normative sanitarie in vigore. Il teatro lirico ha aperto la stagione estiva con il Rigoletto di Giuseppe Verdi sfumato in un suggestivo racconto “noir” molto interessante e dove il regista Damiano Michieletto ha realizzato un’opera prima di fusione tra teatro e cinema. Spettacoli, così come concerti e live, sotto i mille posti, come da regola. Il sovrintendente del Teatro Carlo Fuortes ha spiegato alla stampa che “lo spazio molto ampio permette una platea da 1000 posti e soprattutto il palcoscenico da 1.500 mq permette di rispettare le norme di sicurezza e il distanziamento sia per gli artisti che per il pubblico”.
Personalmente, ci sentiamo di dirlo. E lo voglio scrivere. Si è ipocritamente consentita la riapertura dei teatri come dei luoghi di cultura (!) a stagione conclusa, senza offrire spazi all’aperto, alternative godibili, mettendo regole inapplicabili e spesso impossibili (che facciamo, sanifichiamo il fazzoletto di Desdemona, dalle mani di Jago a quelle di Otello?). Per i set di cinema e tv, basta organizzarsi ma non è per niente facile: provate a stare 12, 13 ore al giorno con la mascherina tra macchine da presa, luci, fari e attrezzi del mestiere (maestranze lavorative). Per il calcio si sono consentiti contratti e possibilità, manifestazioni esterne comprese: facciamo uno sforzo per il teatro e i suoi lavoratori.