C’era una volta Mary Quant e c’è ancora oggi con nomi e fattezze diverse ma con lo stesso spirito di ribellione e la stessa volontà di affermare se stesse al di là della differenza di genere. La storia delle ragazze del liceo romano “Socrate” a cui sarebbe stato imposto un dress code austero per evitare grane con professori dall’occhio lungo, è destinata a far riflettere per diversi motivi. Uno su tutti la capacità – pericolosa – del tempo di cristallizzarsi su alcuni temi come quelli legati come quelli legati al perbenismo di bassa caratura, se ne esiste uno di caratura maggiore:: dimmi come ti vesti e ti dirò chi sei e cosa può capitarti. Ad ognuna di noi nella vita è successo almeno una volta di essere giudicata per un abito troppo corto o troppo scollato che rendeva a quanto pare meno credibile la possibilità di avere anche un cervello funzionante secondo parametri normali. A queste ragazze oggi, se la storia sarà confermata, si chiede di adattarsi ad uno stereotipo nocivo per tutti, che lede le libertà personali e in primo luogo quella di espressione della propria personalità. In fondo siamo ancora tutte Mary Quant peccato che siano passati 60 anni e che quelle ragazzine di allora che sfidavano i genitori e le istituzioni sono quelle di oggi, che invece armarsi di cartelli e sfrontatezza usano hashtag e filtri con la stessa speranza di cambiare il mondo.
Il peccato originale della minigonna
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Giornalista, addetta stampa della Asl Roma 1, comunicatrice, è nel gruppo fondatore del network Point. Tre ruoli per una donna con due nomi e quattro armadi
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