Queste prime ore di applicazione del nuovo Dpcm sembrano registrare un clima da “tutti contro tutti”, tra maggioranza e opposizione in Parlamento. Tra le categorie più penalizzate, oltre al commercio e alla ristorazione, c’è sicuramente il mondo della cultura, in particolare cinema e teatro, musica. Chiusi i teatri, le sale cinematografiche, ferme le sale da concerto. Polemiche, anche tra i Governatori di Regione. Si annuncia una settimana caldissima sul fronte delle proteste.
Il Maestro Riccardo Muti, celebre direttore d’orchestra e curriculum internazionale, scrive al Premier Giuseppe Conte e al Governo, in questa fase difficilissima per la cultura, la musica, le arti tutte. Da molti anni ormai, il Maestro Muti si batte perché venga riconosciuta l’importanza della Musica nel nostro Paese – il Paese delle arti, della musica – e come lui stesso ha spesso detto, anche in questo momento complicatissimo, “è purtroppo un discorso rivolto a sordi”. “Chiudere teatri e concerti è espressione di ignoranza e incultura”, prosegue il Maestro che in queste ultime ore rivolge un accorato appello direttamente al Premier Conte.
La lettera pubblicata sul Corriere: Riccardo Muti chiede di “ridare vita alle attività teatrali e musicali per quel bisogno di cibo spirituale senza il quale la società si abbrutisce”
“Chiudere le sale da concerto e i teatri è decisione grave. L’impoverimento della mente e dello spirito è pericoloso e nuoce anche alla salute del corpo. Definire, come ho ascoltato da alcuni rappresentanti del governo, come «superflua» l’attività teatrale e musicale è espressione di ignoranza, incultura e mancanza di sensibilità”. Il maestro Riccardo Muti reagisce con queste parole alle disposizioni del nuovo DPCM che prevede la chiusura di cinema, teatri e sale da concerto”.
Con questa lettera piena di passione, tristezza, determinazione, pubblicata in queste ore sul Corriere della Sera, il celebre direttore d’orchestra fa un “appello accorato” al Governo e a tutti coloro che si uniscono nel nome della cultura e della musica, sottolineando che la “decisione non tiene in considerazione i sacrifici, le sofferenze e le responsabilità di fronte alla società civile di migliaia di artisti e lavoratori di tutti i settori dello spettacolo che certamente oggi si sentono offesi nella loro dignità professionale e pieni di apprensione per il futuro della loro vita”.
E ancora “I teatri sono governati da persone consapevoli delle norme anti Covid e le misure di sicurezza indicate e raccomandate sono state sempre rispettate”.
Il maestro Muti chiede dunque di “ridare vita alle attività teatrali e musicali per quel bisogno di cibo spirituale senza il quale la società si abbrutisce”.
Le reazioni: il dispiacere del Ministro Franceschini in un videomessaggio su Repubblica
I settori più colpiti chiedono sostegni, la levata di scudi dal mondo della cultura e dello spettacolo non si è fatto attendere, artisti e addetti ai lavori si rivolgono direttamente al Ministro Franceschini.
Il ministro per i Beni culturali Dario Franceschini è intervenuto – sempre in queste ore – dal quotidiano La Repubblica, relativamente alle proteste sul tema delle chiusure di cinema e teatri e in un videomessaggio dallo storico quotidiano ha spiegato la logica della decisione di chiudere teatri e cinema, per molti risultata incomprensibile e assurda: “Ho ricevuto molti appelli dal mondo della cultura, ho letto proteste, polemiche e attacchi, ho letto articoli. C’è molta preoccupazione, il risvolto è negativo e voglio usare franchezza: penso non si siano percepiti i rischi del contagio, in questo momento, non si è capito a che punto siamo. La curva dei positivi è impressionante”.
Il Ministro ha chiarito subito che la scelta non è stata dettata da un criterio “gerarchico” di importanza tra le diverse attività, non è legato a un discorso di priorità ma esclusivamente di salute “Bisogna ridurre la mobilità. Mi impegno affinché la chiusura sia la più breve possibile”. E lancia un appello alle tv: “acquistate spettacoli e programmi di cultura”.
Franceschini ha inoltre mostrato nel videomessaggio un grafico con il confronto fra i contagi di marzo 2020 e ottobre 2020, con una curva esponenziale preoccupante. A marzo – come gli è stato ricordato tra le polemiche – i tamponi effettuati erano meno del 10% di oggi e i morti erano l’80% in più rispetto all’attuale situazione. Si domanda e chiede pubblicamente Franceschini il “perché non ci sia stata protesta allora”, in quel periodo, per la chiusura di teatri e cinema ed invece “si protesti adesso”. Sicuramente gli animi sono stanchi, esasperati e preoccupati, la situazione è complicatissima e difficile; occorre però ricordare che da marzo scorso ad oggi tutti i teatri e le sale cinematografiche hanno investito risorse e messo fondi per attrezzarsi ed essere a norma sicurezza e sanificazione: pronti per essere tra i luoghi più sicuri ma ritrovandosi nuovamente, con il nuovo DPCM, con i luoghi di cultura chiusi. Eccezione fatta per i musei.
C’è anche una petizione popolare che sta girando sui social per raccogliere firme, indirizzata al Premier Conte e al Ministro Franceschini, 6 punti alla loro attenzione.
Qualche reazione tra gli addetti ai lavori
Andrèe Ruth Shammah, regista teatrale contraria alla chiusura dei teatri disposta dal nuovo DPCM: “C’è stato un contagio su 500 mila persone che sono entrate nei teatri, vuol dire che i teatri sono luoghi sicuri. Ero d’accordo sul coprifuoco, avremmo fatto il teatro alle 18.00.
Mimmo Calopresti, regista e direttore artistico del Cinema L’Aquila “Io non so se c’era una scelta migliore, la salute è ovviamente importante dobbiamo fare di tutto per fermare la pandemia ma fino ad ora nel nostro settore le cose erano andate bene quindi applicando le regole in maniera rigida forse si poteva evitare questa chiusura. A me sembra si voglia più che altro lanciare il messaggio alla gente di non uscire”
“Il teatro e il cinema non possono fermarsi perchè sono la riserva invisibile di senso, per la vita pubblica e individuale dei nostri concittadini. Tuteliamo la parte visibile di questa riserva di senso”
Massimo Wertmuller, attore di teatro e cinema, doppiatore, volto noto della tv, nipote della grande regista Lina Wertmuller, affida lo sfogo al social “Stavolta la faccenda è grossa o comunque, dal primo lockdown, si è ingrossata. Troppo. Le Istituzioni considerano noi operatori del settore cultura, inutili per la comunità. Non c’è, ovviamente, pensiero più sbagliato. Doverlo sottolineare è già molto triste e pericoloso, se uno guarda al fatto che arriva da chi ci governa. Perché, pensando a Churcill, quando gli dissero e consigliarono di tagliare la cultura, in Inghilterra, per le spese di guerra, rispose. “No, assolutamente no, allora noi per che cosa combattiamo?”. Voglio dire, è chiaro che la cultura rappresenti l’anima di un Paese, il suo grado di civiltà e nutra quella del popolo. Ma è anche un indotto di lavoro, come sappiamo. Quindi la mancanza di rispetto è anche verso tutte quelle famiglie che con la cultura, vivono. Questo per tacere, con eleganza e per disperazione, sugli autobus stracolmi e le funivie della prima neve straripanti di persone. Il teatro quindi, come cura non solo del tempo libero ma dei cervelli e degli spiriti, chiuso. Le funivie, invece, no”.
Il manifesto di Unita – Unione Nazionale Interpreti Teatro e Audiovisivo, condiviso da tanti altri attori italiani
Michele Placido, attore, regista teatrale, volto notissimo della tv “La cultura è davvero finita in questo nostro Paese, è davvero ingiusto chiudere i teatri”.
Pierfrancesco Favino, Vittoria Puccini, Stefano Accorsi, Caterina Guzzanti, Claudia Gerini e molti altri artisti hanno condiviso un appello scritto al Ministro Dario Franceschini, al Premier Giuseppe Conte e al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella; questo l’umore, la preoccupazione e i dubbi espressi dagli attori e attrici, dagli artisti, le dichiarazioni “Non siamo tempo libero, siamo lavoro e molto altro”, “Non condividiamo le decisioni prese su cinema e teatri e non da oggi”, “Perché non c’è maggiore attenzione al settore?”, “Perché questa scarsa considerazione?”, “Come intende il Governo sostenere i lavoratori?”, “Perché non ci ascoltate rispondendo alla nostra richiesta di un incontro?”
Pierfrancesco Favino, recente David di Donatello e Coppa Volpi “La cultura è un bene comune primario come l’acqua; i teatri, i luoghi di cultura, le biblioteche e i cinema sono come tanti acquedotti”.
Michele La Ginestra, attore di teatro e volto noto della tv, autore e regista teatrale, direttore del Teatro7 e del Teatro 7 Off che abbiamo avuto il piacere di intervistare ultimamente sulle nostre pagine relativamente al momento difficilissimo della cultura e delle arti. A proposito dei laboratori teatrali e dell’incertezza se chiuderli: “Noi di Teatro 7 Roma e Teatro 7 Off, dopo aver analizzato nel dettaglio la normativa ed esserci confrontati tra i gestori di teatro, abbiamo deciso di continuare con l’attività dei laboratori, nel rispetto delle prescrizioni richieste”.
Qualche giorno fa, durante l’intervista e a proposito dell’apertura del nuovo Teatro 7 Off nel III Municipio di Roma zona Montesacro, ci aveva detto “aprire un teatro, oggi, è un atto di coraggio: il teatro è un bene primario per il nostro Paese, il teatrante sa sempre rialzarsi”.
La cultura, il teatro: beni primari ed essenziali. O no?
Si è discusso di varie categorie di lavoratori. Si parla moltissimo, giustamente, di autonomi, ristoratori, commercianti, proprietari e gestori di palestre, centri estetici, centri benessere, proprietari di bar, ristoranti, tavole calde. Non si è invece discusso di cultura probabilmente perché la chiusura è stata forse data per scontata fin dal principio, senza margini di negoziazione. E’ uno spunto su cui riflettere con attenzione. Un copione che si ripete, dato che anche nella primavera scorsa chi aveva subito maggiormente il peso della quarantena a livello economico, era stato proprio questo settore. In occasione del lockdown, l’industria dello spettacolo (musica, teatri, cinema, luoghi di cultura) era stata penalizzata immediatamente: teatri, cinema e concerti erano stati i primi a chiudere già alla fine di febbraio 2020 e gli ultimi a riaprire, giugno scorso.
Difficile l’equilibrio tra salute ed economia, lo sappiamo bene. Però, e c’è un però – si continua a considerare la cultura e lo spettacolo, così come tutta la filiera musicale, un qualcosa di “superfluo”, “non necessario” ma che hanno un importante peso nell’economia del nostro Paese, nella vita di ognuno di noi e nella conoscenza culturale che passa attraverso il quotidiano. Associare l’arte a una “risata”, non rende giustizia a questa industria.
Qualche dato da “La Musica che gira”
Stando ai dati pubblicati dalla piattaforma La musica che gira, sito che riunisce moltissimi protagonisti e addetti ai lavori della filiera musicale, la cultura in Italia genera oltre 250 miliardi, vale il 6,1% del Pil del nostro Paese e offre lavoro a 1,5 milioni di persone. Ma quello che preme ricordare, in particolare, è che la cultura (sale cinematografiche, sale concerti, circoli culturali e teatri) in questi mesi si è dimostrata tutto tranne che un veicolo di contagio e quindi fonte di pericolo.
Dal comunicato La Musica che gira: “Come lavoratori dello spettacolo, abbiamo dimostrato fin dall’inizio di questa pandemia di anteporre la salute davanti al profitto, e continueremo a farlo. Detto questo, vorremmo però ricordare al Presidente Giuseppe Conte e alle istituzioni che tutte le tipologie di lavoro hanno dignità e sono essenziali per le persone che le svolgono. Dobbiamo prendere atto del fatto che teatri, cinema, sale da concerto – che pur si sono dimostrati fin dalla loro riapertura luoghi sicuri e dove è possibile garantire la massima sicurezza, attraverso la rilevazione della temperatura, il tracciamento e il distanziamento – restano ai primi posti tra le attività produttive sacrificabili. Ricordiamo inoltre che una società che vede dileguarsi ogni possibilità di attività culturale non è una società sana”- e ancora “Abbiamo incontrato venerdì scorso il Mibactper discutere della seconda parte del fondo extra-FUS che era stato destinato alla ripartenza, per sollecitare altre forme di ristoro urgente e per completare la mappatura del settore con una call per tracciare definitivamente i soggetti esclusi dalle precedenti misure. Stiamo incontrando le realtà della Musica per parlare di Lavoratori, Imprese e Terzo settore per confrontarci sulle misure utili in questa fase di emergenza e per non perdere di vista il focus sulla riforma e gli Stati Generali della Musica, dove più che mai il settore deve arrivare con idee precise e validate da un confronto già avvenuto”.
Il crollo delle presenze, la chiusura in quarantena, la ripresa a giugno e ora nuovamente chiusura: un anno mai partito
Teatri e cinema hanno fatto i conti con il crollo delle presenze a causa delle inevitabili normative sanitarie: contingentamento pubblico, distanziamento sociale, sanificazione, protocolli di sicurezza messi in campo oltre a fondi messi a disposizione per essere luoghi sicuri per le persone (sono stati spesi soldi per sanificare gli ambienti e renderli sicuri) e con un altro tipo di crollo ulteriore, quello psicologico legato a paure e timori, alla ritrosia della gente e degli appassionati nel tornare a frequentarli e vedere gli spettacoli.
Tutto questo non ha fatto perdere funzione sociale, importanza e smalto ai luoghi di cultura ma sorge un dubbio, domande che in questo momento “ronzano” in testa: se sono stati luoghi poco frequentati e in questi mesi hanno avuto pochissimo pubblico o nullo (vedi i cinema), perché etichettarli come pericolosi luoghi di assembramento, spazi non adatti per la salute pubblica e serrarli tutti per un altro mese? Perché fare in modo che gli ambienti fossero sanificati e adeguati alle normative, sostenendo spese per poi farli chiudere nuovamente? Cosa succederà dopo? Un Paese laico come il nostro chiude le porte ai luoghi di cultura e lascia aperti i luoghi di fede, come le chiese (nel rispetto del culto e della pratica di ognuno, nel rispetto stesso delle normative sanitarie, sanificazione e distanziamento). Un dubbio è lecito porselo: forse le pressioni ecclesiastiche sono più convincenti?
Le associazioni di categoria lanciano un appello
l’Anec-Associazione Nazionale Esercenti Cinema, con un comunicato firmato dal Presidente Mario Lorini,ha fatto sapere, per esempio, che “dalla riapertura non è stato registrato alcun caso di contagio”.
L’Anica-Associazione Nazionale delle Industrie Cinematografiche, audiovisive e multimediali, si unisce all’appello con un comunicato ufficiale: “Abbiamo appreso con dolore della chiusura delle sale cinematografiche. Comprendiamo, con senso di responsabilità, la necessità di tutelare prima di tutto la salute e la sicurezza dei cittadini attraverso la limitazione degli spostamenti delle persone. Ci sembra però decisivo sottolineare la centralità e l’importanza del cinema in sala come esperienza di arricchimento culturale e sociale che appartiene ai bisogni necessari e irrinunciaili di una società che vuole viere e non solo sopravvivere”. Un comunicato, anche quello dell’Anica, che auspica una maggiore collaborazione tra Istituzioni e Associazioni di categoria, per garantire la sicurezza degli spettatori. Una maggiore attenzione ai distributori cinematografici italiani che hanno resistito continuando a programmare film in uscita anche contro ogni logica economica.
Infine, uno studio dell’Agis-Associazione generale italiana dello Spettacolo riferisce che “su 347.262 spettatori in 2.782 spettacoli monitorati, con una media di 130 presenze per ciascun evento, nel periodo che va dal 15 giugno (giorno della riapertura dopo il lockdown) a inizio ottobre, si registra un solo caso di contagio da Covid-19 sulla base delle segnalazioni pervenute dalle Asl territoriali”. Il Presidente dell’Agis Fontana si appella infatti al Premier Conte affinchè teatri, cinema e sale da concerto siano esclusi dai provvedimenti restrittivi, definendo la scelta “devastante” per il settore.
Una riflessione finale. La grande paura ora, è legata all’ondata dei decessi che potrebbero aumentare. Sarebbe importante che qualcuno ci desse subito l’idea e ci dicesse, tra qualche giorno e settimana, se queste restrizioni avranno effetti positivi sull’andamento della mobilità del virus e delle curve.