Tre giorni di follia, contraddizioni, violenze, tre giorni di cui il 20 e 21 luglio 2001, indimenticabili nel senso peggiore del termine. Era strano vedere la bella Genova di De Andrè, blindatissima, inaccessibile.
“Vuoi davvero lasciare ai tuoi occhi solo i sogni che non fanno svegliare?” Fabrizio De Andrè
Parliamo del G8 di Genova: sono passati 20 anni dai noti e dolorosi fatti ma chi ha partecipato alle manifestazioni che si sono svolte da venerdì 20 luglio fino a domenica 22 luglio 2001, compresa – contestualmente allo svolgimento della riunione del G8 nel capoluogo ligure – non dimentica nulla. Non può dimenticare. I fatti accaduti sono e rimangono scolpiti nella memoria, nel cuore, laceranti nell’anima. Quando si chiudono gli occhi, restano immagini che sono impossibili da rimuovere e domande senza risposte. Movimenti no-global e associazioni pacifiste manifestarono in quei giorni, tra scontri, botte, lacrimogeni, reazioni violente e cariche da parte della polizia. Chi vi scrive non ce l’ha con le forze dell’ordine, sia chiaro. Non siamo qui per demonizzare chi veste una divisa, anzi la rispettiamo. Ma la cronaca è lì, esiste. Una escalation di follia e contraddizioni culminate venerdì 20 in piazza Alimonda, giorno in cui venne ucciso Carlo Giuliani.
Il primo impatto con Genova è stato il 20 luglio. Un fiume di gente con la bandiera della pace, già dall’autostrada
Avevo 33 anni, ero lì per lavoro. A Genova c’erano giovani e giovanissimi liceali, c’era il variopinto movimento del Social Forum, c’erano suore laiche, cortei di migranti, c’erano panni e mutande esposte ovunque sui balconi, contro il preteso “decoro” per il G8. Le persone lì, colleghi giornalisti e cronisti, c’erano le radio, cittadini tutti e persone venute da ogni parte del mondo sentivano di essere dalla parte giusta, sentivano di fare il proprio lavoro, di contribuire a “qualcosa”, sia come addetti ai lavori sia come cittadini e cittadine. Tutti, tutti, avvertivano il bisogno di testimoniare qualcosa di grande e prezioso.
Il percorso che personalmente ho fatto il venerdì 20 luglio in corteo non ha avuto all’inizio grandi problemi, i problemi sono arrivati successivamente con cariche della polizia sempre più dure e incessanti. La conferma che era stato ucciso un ragazzo di 20 anni l’abbiamo avuta in pullman, al rientro.
“La più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale”: così Amnesty International definì la gestione da parte delle forze dell’ordine e del Governo, delle manifestazioni tenutesi in occasione del G8
Le manifestazioni non si fermarono dopo la morte di Carlo Giuliani e le reazioni delle forze dell’ordine furono molto dure: dalla dispersione della manifestazione di sabato 21 fino ad arrivare alle violenze all’interno della scuola Diaz nella notte tra sabato e domenica 22, dove erano accolti per dormire centinaia di giornalisti, cronisti, manifestanti pacifisti. I fatti della Diaz definiti “la più grave violazione dei diritti umani e sospensione dei diritti democratici” e ancora “macelleria messicana”.
Siamo arrivati a Genova venerdì 20 luglio 2001 con auto o pulman, altri colleghi con bus organizzati, alcuni con la rete Lilliput e Legambiente ma ci siamo presto staccati dagli altri, proprio per raggiungere un’altra parte del corteo: desideravamo infatti prendere visione, unirci e portare contributi giornalistici dietro allo striscione di Legambiente nazionale. La manifestazione all’inizio molto bella e colorata, i colleghi mescolati ai manifestanti, la festa, le persone alle finestre che salutavano e buttavano acqua dalle finestre (cannule collegate ai rubinetti di casa) per rinfrescare chi sfilava sotto, nelle strade. La morte di Carlo Giuliani doveva ancora arrivare. Continuando ad andare avanti, siamo arrivati a una piazza sul lungomare e da lì abbiamo iniziato a sentire addosso i lacrimogeni, capendo che c’era stato un blocco del corteo.
A quel punto non abbiamo fatto altro che cercare di rifugiarci altrove e scappare, capendo ben presto che in ogni luogo in cui andavamo, o fossimo andati, ci imbattevamo in strade e stradine dove un attimo prima o subito dopo c’erano cariche pesantissime. A terra, ragazzi, pacifisti, giornalisti, gruppi laici, anziani, scout presi a manganellate. Ho visto sfilare rullini di foto a colleghi fotografi e giornalisti. Gente con le mani alzate, picchiate. Osservavamo con terrore i vari black bloc in azione, a volto coperto, sfasciare vetrine e tutto quello che gli capitava a tiro; azioni mirate, tecnicamente “perfette” nella loro ottica. Era un modo di comportarsi stranissimo che ci colpì per la stranezza e particolarità delle azioni, come delle conseguenze. I black bloc erano liberi di agire indisturbati, erano liberi di sfasciare macchine, vetrine, cassonetti, bancomat, tutto. Come mai – ci siamo chiesti in questi anni – sono stati liberi di operare quei gruppi ben individuabili e circoscrivibili, spesso a poche centinaia se non a decine di metri da presìdi importanti e obiettivi delicatissimi?
Per mesi chi ha vissuto quel giorno o quei giorni, non ha potuto chiudere occhio di notte.
“Genova, schiacciata sul mare, sembra cercare. Respiro al largo, verso l’orizzonte.
Genova, repubblicana di cuore, vento di sale. D’anima forte” Francesco Guccini
Dicevamo, del Social Forum. Legambiente seguiva, ai tempi, il movimento che si stava sviluppando in quegli anni: si chiedeva un’accelerazione sul cambiamento climatico, si chiedeva di fare presto e se i grandi del G8 avessero ascoltato, al tempo, forse questi 20 anni non sarebbero stati buttati. Forse avremmo avuto più rispetto del pianeta e della democrazia. Forse avremmo preso piena coscienza di un mondo che abbiamo già distrutto e correre ai ripari non è una passeggiata, serve a poco ma serve per chi verrà dopo di noi. Quella di Genova è stata davvero una tragedia che poteva essere evitata, una tragedia annunciata, costruita male e proseguita peggio. Una grande occasione persa. Una tragedia che tutto il mondo ha visto, denunciata da più parti e prima tra tutti proprio da Amnesty International. Il G8 non è stato organizzato al meglio, non è stato gestito con responsabilità e buon senso. L’Italia, in quei giorni, ha mostrato una democrazia fallimentare. Le battaglie sacrosante di una galassia di movimenti riuniti nel Genova Social Forum, buttate al vento, un popolo variegato che chiedeva un mondo più equo: cosa rimane, di quei giorni e di quegli ideali a 20 anni di distanza?